REGGIO AEMILIA

REGGIO AEMILIA

Reggio Emilia, 13 settembre 2016 – Banchi vuoti, un collegamento video che illumina un’aula deserta. Due cronisti di provincia, nessuna fila all’ingresso. Niente politici, associazioni, curiosi. Non c’è nessuno.

Benvenuti ad Aemilia: quello che doveva essere il processo del secolo per il nostro territorio; quello che ha smantellato la cosca di ’ndrangheta radicata al nord – con una retata da 117 arresti in una notte il 28 gennaio 2015 – e che si sta lentamente trasformando in una ingombrante cattedrale in cui rimbombano le parole dei testimoni. Per lo più reticenti.

Anche perché, da marzo a oggi, di 1.300 testi da ascoltare (310 solo quelli dell’accusa) dalla lista del dibattimento ne sono stati spuntati una ottantina. Significa che, andando avanti di questo passo, ci vorrebbero 8 anni solo per sentirli tutti. Di anni, in realtà, ne avevano previsti due. In tutto.

Dopo le 57 condanne in abbreviato e i 17 patteggiamenti arrivati il 22 aprile a Bologna (con 13 assoluzioni e un proscioglimento), ora è in corso il primo grado ordinario nell’aula bunker allestita a tempo di record nel cortile interno del tribunale di Reggio Emilia.

Gli imputati sono 147, 34 accusati di associazione di stampo mafioso. Ma tra loro non ci sono politici.

Gli unici due finiti nelle carte della procura, ne sono usciti indenni durante i riti alternativi di Bologna: Giuseppe Pagliani, avvocato e storico capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale a Reggio è stato assolto; Giovanni Paolo Bernini, ex assessore di Parma, prosciolto per prescrizione del reato.

Ora restano alla sbarra – a decine nelle gabbie, due al 41 bis, altri liberi e altri ancora ai domiciliari – gli imprenditori edili cutresi accusati di aver fatto false fatture, estorsioni, incendi; i capi clan che li avrebbero comandati; qualche colletto bianco emiliano finito nella rete e membri delle forze dell’ordine forse conniventi.

E così, al ritmo di due appuntamenti settimanali, le udienze scorrono lente, con il presidente del collegio che invita chi si siede davanti al microfono a essere «rapido e conciso, altrimenti questo carrozzone si ingolfa». Tant’è.

Parlano carabinieri, finanzieri, qualche presunta vittima. Fuori, però, quasi nessuno se ne accorge. La verità è che si è sgonfiata, piano piano, la bolla di curiosità intorno al maxi processo alla mafia emiliana.

Nonostante per allestire quelle aule, la Regione abbia sborsato fior di quattrini: 748mila euro solo per le udienze preliminari alle Fiere di Bologna; altri 500 per l’aula bunker di Reggio (più 100 messi dal municipio della Città del Tricolore). Volevano che il processo restasse vicino alla gente, perché «avesse anche una funzione educativa», il leitmotiv dei politici. Il carrozzone, però, è sempre più desolante.