Benedetta gioventù

Fango senza risposte, la rabbia degli sfollati emiliani

(foto Artioli)

Lentigione (Reggio Emilia), 14 dicembre 2017 - La gente di fiume lo sa che ogni tanto toccherà prendere la pala in mano. Perché «l’acqua non la fermi » e le case che stanno sotto prima o poi dovranno aprirle la porta. Quello che non accetta, la gente di fiume, è di non essere avvertita, nel 2017, quando tutti i segnali vanno in quella direzione. Tanto che il sindaco di Sorbolo, nel parmense, a una manciata di chilometri dal disastro della bassa reggiana, di notte aveva avvisato i suoi cittadini «dopo essere stato sull’argine a monitorare il torrente Enza ».

Il giorno dopo l’inondazione della frazione di Lentigione di Brescello, con oltre duemila sfollati sfrattati dalla tracimazione del torrente, è il giorno del fango. Gente emiliana, razza forte, con pala e ramazza già in mano alle prime ore del mattino per pulire. Sono già tutti dentro quelle case, ancora al buio. Abitazioni in cui non si potrebbe entrare, c’è l’ordinanza. «Ma ora voglio vedere se hanno il coraggio di mandarmi via. Che me lo vengano a dire in faccia. Anzi, che vengano qui ad aiutarmi e a portare una pompa per svuotarmi la cantina, quelli che dovevano dare l’allerta», dice una signora, col groppo in gola, mentre non smette di tirar su pantano dal suo salotto.

Gente che non è abituata a piangersi addosso, qui. Ma che oggi è arrabbiata, a dir poco. Ci sono gli alberi di Natale, in mezzo ai cortili. Un groviglio di legni, mobili, divani, comodini, bottiglie. Tutto color melma. Tutto da buttare. Hanno passato la notte fuori, migliaia di persone. E il prefetto ha detto che potranno rientrare al più tardi entro una settimana. Ma 78 di loro non hanno accettato: «Restiamo qui, al freddo e al buio. Restiamo nelle nostre case, anche per presidiarle dai ladri». Chi poteva è andato da parenti, amici, vicini, in una catena di solidarietà che a fatica si riesce a raccontare. Centinaia, però, hanno dormito nelle palestre, diventate il rifugio provvisorio del dopodramma. Film che si ripetono, ormai fin troppo spesso, persino qui, nella bella Emilia. Edmondo Spaggiari è uno di quelli che non le manda a dire. Abita di fronte all’Enza, a 300 metri dal punto in cui la furia dell’acqua ha rotto l’argine. «Il rumore mi ha svegliato di colpo, e quando ho aperto la porta ce n’era già oltre un metro. Con mia moglie e le figlie siamo saliti al primo piano, poi ci ha prelevato l’elicottero dei vigili del fuoco. Io e tutta Lentigione siamo molto ‘incazzati’ perché nessuno, e sottolineo nessuno, ci ha avvisati. Né prima, ne durante, né dopo. E se qualcuno dice che è stato fatto lo denuncio».

Dall'altra parte, nell’abitato di Coenzo, la fiumana non è ancora defluita. E lì il paesaggio è impressionante, il giorno dopo, col sole che splende e oltre un metro e mezzo di torrente dentro le case. «La situazione è drammatica – dicono sconsolati Fabrizio ed Emilio Farri –. A Lentigione stanno già cominciando a ripulire le abitazioni, ma qui il livello è calato solo una quindicina di centimetri. Perché non vengono con le idrovore a togliere acqua?» Raggiungono le loro case con una barchetta di legno. Entrano dalle finestre con una scaletta. Mentre è alta, in tutta l’area, l’allerta delle forze dell’ordine contro lo sciacallaggio. Le istituzioni, nei vari tavoli, ora cercano di ricostruire la filiera delle responsabilità. Dovranno dare risposte. È questo che si aspetta, oggi, la gente di fiume

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