Benedetta gioventù

“Vincenzo non gioca? A Conte ci pensiamo noi… ” Aemilia, il pallone e le intercettazioni

(Vincenzo Iaquinta e Antonio Conte)

 

Reggio Emilia, 20 dicembre 2017 - «Vincenzo non gioca? Dobbiamo fare un salto noi a Torino... ». Arriva dappertutto la ’ndrangheta emiliana. Vorrebbe persino decidere chi deve scendere in campo, in serie A. Soprattutto se a restare in panchina, o peggio in tribuna, è Vincenzone Iaquinta: cutrese, campione del mondo, per questo simbolo del riscatto e orgoglio di chiunque sia nato in quel paesino nel cuore del Crotonese. Cutro, cittadina di 10mila abitanti quasi per intero trasferitisi a Reggio Emilia, è il comune oggi al centro delle vicende che ruotano attorno al processo Aemilia e quartier generale del boss Nicolino Grande Aracri. Vincenzo Iaquinta e il padre oggi sono alla sbarra nel più grande processo per mafia che si sia mai celebrato in Emilia Romagna: l’ex bomber per un reato di armi, il padre per associazione mafiosa.

E nel mirino della cosca, stando alle ricostruzioni, fra il 2011 e il 2013 era finito persino il mister bianconero Antonio Conte, definito nelle intercettazioni degli imputati «bast..., corn..., figlio di p... ». Tra loro anche il boss Nicolino Sarcone, considerato capo della consorteria reggiana, già condannato in abbreviato a 15 anni. Quello che aveva già anticipato il pentito numero quattro del maxiprocesso, Salvatore Muto, è stato confermato ieri in aula dal carabiniere Serafino Presta.

Stavolta, a parlare, sono le registrazioni telefoniche, da cui «emerge un astio crescente di Alfonso Paolini, Sarcone e i due Iaquinta, padre e figlio, contro le decisioni di Conte di tenerlo fuori squadra». In una delle conversazioni «è lo stesso Sarcone a parlare con Vincenzo Iaquinta. E il giorno dopo Paolini promette che se Conte non avesse schierato Iaquinta in Coppa Italia sarebbe andato anche lui a Torino a dirgli qualcosa», prosegue l’appuntato, ricordando che una volta ad Arezzo lo stesso Paolini aveva già aggredito l’allenatore. «Dobbiamo fare un salto noi... », dice Paolini a Sarcone l’8 dicembre 2011. «Vogliono andare a Torino a risolvere il problema», conferma il carabiniere. In quella partita, secondo le cronache sportive, Iaquinta però non arrivò nemmeno alla panchina.

In altre telefonate si parla di Luciano Moggi, fuori dal giro però a causa di Calciopoli. A quel punto «Paolini riferisce di sue conversazioni con il procuratore vicino a Moggi, Franco Ceravolo... Lo stesso Ceravolo farà avere biglietti per le partite della Juve a Paolini. E il giorno dopo Paolini riceve una telefonata da Luigi Porchia, detto ‘Gino’, ex calciatore del Crotone, fratello di Rosario, indicato dal pentito come «chi si era occupato dei problemi di Iaquinta all’Udinese». Luigi Porchia era responsabile del settore giovanile del Crotone, di cui è presidente Gianni Vrenna, cognato di Domenico Mesiano (ex autista del questore, già condannato in abbreviato e sorvegliato speciale). Iaquinta, però, nel 2012 verrà ceduto al Cesena e nel 2013 si esaurisce il suo contratto con la Juve.
E, mentre si cercano conferme delle rivelazioni del pentito, emergono altre connessioni con il pallone. «Confermata anche la possibilità di Ernesto Grande Aracri (fratello del boss, ndr) di accedere al mondo del calcio attraverso suo nipote Rosario Porchia e di conseguenza anche suo fratello Luigi – dice Presta –. Attualmente Luigi Porchia è nello staff del dirigente sportivo del Milan Massimiliano Mirabelli».

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