Quella famosa mattina d’inverno Gianaldo Marinetti, detto Tifo per via dell’indole virulenta e rivoltosa, si svegliò tutto sudato. Aveva avuto un incubo: era arrivata la Rivoluzione e lui stava dormendo. Più che un evento, una beffa: Tifo si era fatto in tenera età il ’68, poi il ’77, tutte le manifestazioni dei primi anni ’80 e quelle alla fine dei Novanta, non risparmiandosi in età di pensione le proteste No-Tav. Insomma, una vita scomoda inerpicato sulle barricate, in attesa del Grande Ribaltamento che non aveva saputo immaginare in tempi e modi. E ora, sulla soglia del compleanno numero 70, il momento pareva improvvisamente arrivato senza chiedere permesso e soprattutto senza di lui.

Non se l’era sognato. L’avevano detto anche alla radio: quel tale dal cognome di insetto – Coccinella, Moscone o Zanzara, non aveva capito bene nel torpore del risveglio – quel tizio aveva vinto le elezioni. Quella famosa mattina d’inverno – 26 febbraio 2013, all’indomani di una data inusuale per le urne ma resa necessaria dalla crisi contingente – fu chiaro come il sole che il Paese aveva svoltato. Senza di lui.

Il Grande Insetto – Tifo lo ribattezzò così, per difetto di memoria non certo per volontà di critica – aveva fatto in quattro e quattr’otto ciò che lui, Gianaldo Marinetti detto Tifo ormai impropriamente, non era riuscito a combinare in tutta un’esistenza di marce solitarie, assemblee troppo affollate, proclami politici e botte da orbi in piazza. Ancora disteso sul letto, ascoltava affascinato la radio cercando di indovinare il segreto della Rivoluzione arrivata a tradimento (per lui). Venne così a sapere che il Grande Insetto aveva cominciato col dire che Destra e Sinistra non esistevano più (Oddio, niente ideologie?, trasecolò Tifo). Poi lo speaker aveva rivelato il mestiere originario del vincitore delle elezioni: era un comico (Mamma mia, ma non è serio, si disse Tifo, che in fondo era un conservatore). Poi era stato sottolineato ben bene che il Rivoluzionario era ricco sfondato (Ma non è giusto!), eppure lottava contro la povertà di tutti e anche i barboni andavano ai suoi comizi (Non ci capisco più niente…). Infine la radio ricordò che invece di marciare su Roma il Grande Insetto aveva attraversato a nuoto lo Stretto di Messina, con ciò unendo dimostrazione di prestanza fisica al simbolismo pratico dell’unione fra popoli (Non ce la faccio più). Il reportage radiofonico concludeva esponendo in cifre il risultato dell’azione a-politica del comico: 8 milioni e rotti di voti a favore alla Camera, 7 milioni al Senato, i partiti storici costretti a scendere a patti con lui, ma prontamente mandati a spendere, e poi tutti a dire che il rischio ingovernabilità metteva a repentaglio le sorti del Paese, e lui a replicare che magari era anche vero, ma chissenefrega, indietro non si torna, la Rivoluzione è finalmente arrivata e non se ne andrà tanto facilmente.

Quella famosa mattina d’inverno una lacrima, grande come la delusione di un’esistenza politicamente inconcludente, impregnò il cuscino di Gianaldo Marinetti detto Tifo. Allungò la mano verso il comodino. Spense la radio. Non pensò neppure per un attimo di infilare le ciabatte e incamminarsi in quel mondo nuovo. Si girò dall’altra parte, tirò su le coperte fino al naso e provò a riaddormentarsi. Ma non ci riuscì.