Cominciò ad amarla nel colpirla, di gancio sinistro, alla mascella. Si sentì adorato quando lei lo ripagò, raggiungendolo al fegato con un perfetto montante sinistro. Si scoprì innamorato nell’istante in cui lei raddoppiò l’ultimo colpo con un diretto destro. Decise in quel momento che non avrebbe più potuto fare a meno di quella donna. In fondo, era un fatto naturale: lei era la sua sparring partner. È così che andò. Io lo posso ben dire, ero lì.

Fu questa la storia di Alice, la boxeur nera e di Alex, che mai smise di sperare di diventare campione, ma perse i Nazionali per meno di un etto. Non per colpa di un ko, non fu questione d’inferiorità ai punti. Venne sconfitto da una dieta sbagliata, un cedimento alle debolezze del passato, un trucco evitato. Ecco come andò. Alex perse tutto, ma guadagnò di più: l’amore.

Quanto ai sentimenti, era un fatto che Alice che fosse uscita sconfitta da tutti i ring del mondo. Uomini d’ogni età e grado di sensibilità l’avevano messa al tappeto senza possibilità alcuna di gettare prima la spugna, tanto per onorare, almeno, l’illusione di essere lei a decidere quando sospendere l’incontro. Alice Gutierrez, da Cuba: occhi verdi, pelle d’ebano, corpo sinuoso, abile nello schivare un montante o un jab, ma non un diretto al cuore. Per questo sapeva colpire. Per reazione, per non farsi umiliare. O, forse, per vendicarsi di uomini incapaci di amare.

Quando Alexandre Cerden, francese solo d’adozione, origini algerine rinnegate, la vide entrare nella palestra incastrata tra i vicoli del quartiere Panier, sopra il porto di Marsiglia, subito pensò: “Che occhi verdi e arrabbiati”. Nulla di più, non un’oncia di meno. Saltava la corda, Alex, doveva perdere altri 10 chili, dai 79 di adesso a 69, categoria superwelter, unico modo per affrontare i Nazionali. Con 79 chili addosso, in un match da mediomassimi, sarebbe stato massacrato. Era fermo da due anni, un’eternità che aveva annegato nel whisky, facendo evaporare le possibilità di risalire sul ring, annebbiando la sua volontà di combattere. Ma ora aveva deciso di riprovarci, basta alcol, solo sacco, sudore e flessioni. Dimagrire era l’unica possibilità di conquistare la cintura. L’ultima, non poté impedirsi di pensare. Era alla nona ripresa di corda. Ne mancavano tre. E stringeva i denti. Alice gli sorrise, mentre infilava la scaletta degli spogliatoi.

Fu per lui un incoraggiamento. Cominciò la decima ripresa. Ma improvvisamente Philippe Dubois, il suo allenatore, vecchia volpe del ring, incline ad assecondare più le proprie intuizioni che i ragionamenti, dopo aver colto lo sguardo di Alex e il sorriso di Alice, gli disse: “Basta, fermati. Ora prova con lei”. Lui lo guardò perplesso: “Con lei?”. Ma non c’erano alternative una volta che Dubois aveva avuto un’intuizione. Alexandre Cerden accettò.

Aveva occhi verdi scintillanti di sfida, Alice Gutierrez, mentre si faceva docilmente sistemare le fasciature alle mani da Dubois e non ci fu nemmeno uno sguardo per Alex nel momento in cui il maestro le infilò i guantoni. Scivolò agile tra le corde e disse solo: “Pronta!”. Cerden, già al centro del ring, consigliò a se stesso: “Vacci piano Alex, peserai venti chili più di lei”. Non fu un buon suggerimento.

Un istante, giusto un istante prima che Dubois suonasse il gong, Alice Gutierrez da Cuba scaricò un diretto al plesso solare di Alexandre Cerden francese d’adozione, che cadde all’indietro sulle corde, rimbalzò in avanti e finì ginocchia a terra, senza capire se fosse più stupito o dolorante.

Vedi? – disse il maestro Philippe – Il peso, certe volte, non conta”.

Alice saltellava nell’angolo, pareva una tigre inquieta pronta al balzo. Nel rialzarsi Alex fece correre lo sguardo dalle spalle tornite al seno tondo e sodo che si alzava e abbassava seguendo il ritmo regolare della respirazione. “È bellissima”, pensò nell’esatto istante in un cui vide arrivare il gancio destro diretto al suo orecchio. Alzò la spalla e l’avambraccio per parare il colpo, rendendosi conto troppo tardi che si trattava di una finta. Lo capì bene quando in un lampo un altro gancio, sinistro, lo centrò in pieno sulla tempia destra.

Mentre scuoteva la testa per riprendersi sentì la risata dell’allenatore.

Ok, per oggi può bastare – disse Dubois – Ci vediamo domani. Abbiamo solo dieci giorni prima dell’incontro. Fatti i conti, Alex: devi perdere un chilo ogni ventiquattro ore. E intanto abituarti al tuo nuovo corpo, più leggero e scattante. Come lei”.

Alice sgusciò tra le corde, si voltò e sorridendo disse solo: “Ciao”.

Ciao”, rispose Alex. Ma avrebbe avuto molte altre cose da dire.

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A&A. Così presero a chiamarli in palestra. Li vedevano infilarsi i guantoni insieme, scambiarsi il posto davanti al sacco, assieme riposarsi, un minuto esatto, fra una ripresa e l’altra, insieme saltare la corda: strana coppia davvero, l’aspirante campione e la tigre nera. A&A divennero inseparabili. Ecco come andò. Dubois all’inizio era contento. Alex dimagriva, giorno dopo giorno si avvicinava al peso forma. Il vecchio allenatore, testardo come il legno, si divertiva a vederli scambiarsi colpi senza risparmio di energie e paure. Alex acquistava via via agilità e astuzia. Erano le qualità migliori di Alice quelle che apprendeva. E Alice, per la prima volta in vita sua, riceveva in cambio ciò che finora mai aveva conosciuto: la capacità di fidarsi di un uomo. Anche quando Alex la colpiva duramente, per esserne da lei subito ricambiato, Alice Gutierrez da Cuba capiva che non era desiderio di ferire quello che animava l’aspirante campione. Ma paradossalmente il suo esatto contrario, cui non osava dare un nome. Per Alex era lo stesso. E anche lui preferiva non spiegarsi quel sentimento che lo sorprendeva felice nel correre in palestra per allenarsi, perdere un altro chilo e soprattutto vedere lei, Alice. Il ring era la vita per loro. La vera vita era lì, tra le corde.

Dubois era soddisfatto, l’intuizione di mettere assieme quei due aveva funzionato. Sì, era stata una buona idea, tutto andava a meraviglia. Sentiva che stavolta il titolo era lì a un passo da loro, e da lui. Bastava allungare la mano e prenderlo. Sì, tutto andava alla perfezione. Alex era in forma, Alice sembrava un’altra donna, più dolce e serena. Buon lavoro, si diceva il vecchio Dubois.

Poi accadde l’inaspettato. Ecco come andò: un giorno Dubois colse lo sguardo che A&A si scambiarono improvvisamente allo scoccare dell’ultimo gong dopo un incontro sulle dieci riprese. Non era un giorno qualunque, era il decimo del programma di allenamento. Mancavano ventiquattro ore al match per il titolo nazionale. Dubois ebbe un’intuizione che non gli piacque. Perché l’interpretò come un brutto presentimento. Alice se ne andò negli spogliatoi senza dire una parola. Alex restò in piedi al centro del quadrato, lo sguardo nel nulla. Poi sputò il paradenti e a morsi strappò via le fasce che gli stringevano ai polsi i guantoni, per gettarli in un angolo.

Passò una notte agitata, Dubois. Il giorno dopo si giocava il tutto per tutto. Ma si sentiva vecchio e stanco: aveva passato una vita ad allevare pugili, a prenderli dalla strada, costruirli pezzo per pezzo, trasferendo su di loro emozioni e conoscenze, trucchi e tecnica, la voglia di combattere, la volontà del non arrendersi, la resistenza al dolore, il rispetto che si deve all’avversario e quello per se stessi. Ma forse ora era lui quello che non aveva più voglia di combattere. Se l’indomani fosse andata bene, probabilmente avrebbe chiuso con la boxe. Basta, un’ultima vittoria e tanti saluti.

L’incontro era fissato per le cinque di sera. Alle due c’erano le operazioni di peso. Arrivò al palasport di Marsiglia all’una e trovò Alex già lì, seduto su una panca negli spogliatoi, lo sguardo basso. Si contemplava le mani inerti in grembo.

Non gli piacque ciò che vide negli occhi spenti del suo pugile, quando gli sollevò il mento per capire cosa diavolo stesse succedendo. Non gli disse niente. D’altra parte, non c’era nulla da intuire, tutto molto chiaro.

Aspettarono che il grande orologio sopra gli armadietti segnasse le due, senza parlarsi. Poi Alex si alzò, strinse la cintura dell’accappatoio e si diresse verso la saletta dove l’attendevano medici, giudici di gara e bilancia. Philippe Dubois non lo seguì subito, ma si alzò solo dopo un po’ per raggiungere l’ingresso della sala-peso, fermandosi sulla soglia, senza entrare. Fu da lì che vide Alex Cerden, aspirante campione, sfilarsi l’accappatoio e in mutande salire con circospezione sul piatto della bilancia. Fu dalla soglia, senza entrare, che il vecchio maestro sentì il medico sentenziare:

69 chili e quattrocento grammi!”.

Quattrocento grammi di troppo.

Sei fuori peso, Alexandre Cerden. Sei fuori di quattrocento grammi. Niente incontro”, disse il medico.

E così che andò la storia di Alex, Alice e anche di Philippe. Me lo ricordo bene e, anche se volessi, non me lo potrei dimenticare.

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Dubois seppe tutta la verità anni dopo sebbene, anche stavolta, avesse intuito tutto fin da subito. La sera prima dell’incontro, durante l’ultimo allenamento, Alex e la boxeur nera avevano litigato. Come succede fra chi si ama. Lei aveva paura che lui fosse come tutti gli altri uomini, che l’avrebbe rinnegata, colpita a tradimento proprio nel momento in cui lei avesse abbassato la guardia. Lui temeva un colpo basso di Alice, giusto nel momento in cui era riuscito a riacquistare fiducia in se stesso, ma tutto si basava sul fatto che lei fosse sempre lì con lui, sul ring e nella vita. E invece aveva paura che potesse sparire da un momento all’altro, magari tornando a Cuba, lasciandolo solo e a mani vuote a Marsiglia. Paure da innamorati.

Proprio la sera prima dell’incontro Alex si era concesso un ritorno al passato. Si era rimesso a bere. Una bottiglia di whisky, come ai vecchi tempi. Una bottiglia di whisky non la smaltisci in una nottata. Ti lascia un peso nello stomaco, nei muscoli e nelle vene. Se Dubois l’avesse saputo per tempo, prima che Alex salisse sulla bilancia, prima che fosse tutto perduto, forse avrebbe potuto usare il vecchio trucco: imbottirlo di diuretico. E quei quattrocento grammi di troppo sarebbero spariti, annullati dall’esperienza di un maestro di boxe che nella vita ne aveva viste di tutti i colori, ma mai una storia come quella di Alex e Alice.

Ma è anche vero che se Alex Cerden, aspirante campione, fosse salito sul ring in quelle condizioni sarebbe stato perfino peggio. La vita, e anche il ring, non sempre ti concedono una rivincita.

Philippe Dubois mollò la boxe subito dopo quell’incontro annullato, portando con sé non un’intuizione, ma un convincimento: amore e pugilato non possono andare d’accordo. La vita non è solo sul ring e il ring non è la vera vita. La riprova l’ebbe molto tempo dopo, quando qualcuno gli fece sapere che Alex e Alice avevano lasciato Marsiglia e si erano trasferiti a Cuba. Lì si erano sposati e avevano dimenticato per sempre guantoni, corda e quadrato.

Ecco, fu proprio così che andò. Io lo posso ben dire, visto che c’ero. Parola di Philippe Dubois.

Tratto da: “Colpi bassi (sul ring e nella vita)”, di Gianluigi Schiavon, Giraldi Editore