Piotr Ilich guardava Nadežda e le diceva cose senza senso. Tipo: “Sei la mia matrioska”. Lei lo fissava paziente e chiedeva: “Spiegati meglio”. Lui rispondeva: “Nascondi qualcosa dentro”. Lei sospirava e non diceva più niente.

Succedeva ogni venerdì, al tramonto, su una panchina in riva alla Moscova. Lì Piotr Ilich e Nadežda si promettevano amore eterno. Gli amici di lei avvisavano: “Quell’uomo ti farà perdere la testa”. Quelli di lui raccomandavano: “Tieni la testa sulle spalle”. Ma quei due correvano più veloci delle onde della Moscova. E progettavano il futuro sforzandosi di dimenticare il passato, poiché in quello di lui c’erano troppe paure e in quello di lei più di un segreto. E valeva anche il contrario.

Fu forse per questo che un giorno Piotr Ilich donò a Nadežda quella matrioska. E senza afferrare il senso delle sue stesse parole disse solo: “Questa bambola di legno ne contiene molte altre. E ognuna è un segreto”. Era come se vivessero l’uno dentro l’altra: in tutta Mosca nessuno ne dubitava. “Cara Nadežda…”, iniziava lui tutte le volte in riva al fiume. “Adorato Piotr Ilich…”, concludeva lei, mentre le onde si rincorrevano con furia.

Ma un venerdì al tramonto – la Moscova ci sia testimone – la panchina restò deserta. Solo molti giorni dopo, all’alba, quei due si incontrarono per caso, non lontano dalla riva. Le onde del fiume – stavolta – scorrevano calme e placide. E lei disse solo: “Piotr Ilich, perdonami, ma dentro di me ora amo Aleksandr”. E lui rispose: “E io, Nadežda, dentro di me, adoro Miloslava”. E alla fine Piotr Ilich disse una cosa che, per una volta, aveva un senso: “L’amore è una matrioska”.

(Gianluigi Schiavon)