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Racconti da viaggio e altre storie

di Gianluigi Schiavon

Covid, la medicina chiamata umanità

La favola di Adila, tornata alla vita dal baratro del Covid, ha tutta la potenza narrativa della realtà. Adila non si chiama così, ma è l'unica cosa non vera di questa storia. È un fatto che medici e infermieri del Sant'Orsola di Bologna l'abbiano salvata con la scienza e i farmaci, dopo settimane di terapia intensiva. Altrettanto vero è che hanno anche usato la medicina più potente che c'è: l'umanità. Adila, pachistana di origini, ferrarese di adozione, ha 11 anni e per questo non è giusto rivelarne l'identità. Possiamo però svelare i principi attivi del medicamento che le ha salvato la vita e il sorriso: carezze e il conforto continuo delle parole, giorno e notte, e la forza di tenerle la mano, tutte le volte che poteva sentirsi sola ad affrontare il mostro chiamato virus. Le hanno anche somministrato un lenimento che cura anima e corpo: la musica. La sua preferita. Questa è l'umanità che ha strappato Adila ai suoi incubi e ai tubi della terapia intensiva. Quando suo padre ha potuto riabbracciarla ha sussurrato piano una parola che era un urlo di gioia: “Grazie”.

È la stessa parola messa nero su bianco da una professoressa marchigiana di Penna San Giovanni, rivolta a medici e infermieri di Macerata e del Covid Hospital di Civitanova. Ha scritto Nicoletta Perozzi, 59 anni: “Sapevo che sarei morta, perché quando arriva la senti, la riconosci”. Ma su quella strada la professoressa ha incrociato sguardi che l'hanno aiutata a tornare indietro, a casa, guarita. E anche in questo caso umanità è la parola che riassume tutta la storia: “Di voi mi restano i vostri occhi - aggiunge – perché solo quelli potevo vedere. Ma resteranno per sempre nei miei ricordi. Grazie a tutti voi”.

Abbiamo raccontato di Adila e Nicoletta in questi giorni sul Carlino. L'ultima notizia è che la Fondazione Gorbachev ha candidato medici, infermieri e tutto il personale sanitario del nostro Paese al premio Nobel per la Pace. Giusto. Anche se il premio più grande è una parola che conosciamo già bene: grazie.

  Gianluigi Schiavon 

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