Wagon-Lit

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Racconti da viaggio e altre storie

di Gianluigi Schiavon

Il bambino con la pistola

Il bambino con la pistola ha dimenticato la faccia da assassino nella scatola dei giochi. Ha 13 anni che non dimostra ma pesano sul cuore come cento, e in testa parole che sembrano una bugia: “Fallo tu, sparagli a quello, tanto sei piccolo e non ti arrestano”. Così ha detto lo zio e lui gli ha creduto, perché i grandi sanno sempre qual è la cosa giusta da fare. Il bambino con la pistola è andato ad ammazzare quel tizio in bicicletta, quella che usa per andare a scuola. In mano ha una calibro 22, a tamburo, con matricola abrasa: non è un giocattolo, però ci assomiglia. “Tieni, usa questa” sono le parole che gli tornano in mente, mentre si chiede perché non abbia saputo dire di no. Nei film i cowboys sparano chiudendo un occhio per mirare. Lui li chiude tutti e due quando preme il grilletto. Poi li riapre e il tizio è per terra sanguinante. È ancora vivo. Non è nemmeno morto per finta come nei film. I pensieri si confondono. Il bambino con la pistola scappa via pedalando veloce, per sfuggire ai dubbi. Due giorni dopo, mentre portano lo zio in galera e lui in un posto che chiamano comunità “protetta” (protetta da chi?, pensa) il bambino con la pistola sente dire da qualcuno che tutta la faccenda è nata per una ragazza “contesa” e per un “rivale” da punire. Altre parole incomprensibili e altre ragioni che mancano, come per la calibro 22 e la matricola abrasa, per lo sparo e il sangue sul marciapiede, per la morte che pare finta. Robe da grandi, altra spiegazione non c'è. Quando uscirà da quella comunità il bambino con la pistola andrà a prendere la scatola dei giochi, ci butterà dentro la fiducia nei grandi, le bugie che sembrano vere e le verità che si trasformano in menzogne, i no che non si riescono a dire e i sì che è meglio non dire. E la faccia da assassino che non ha mai avuto. Poi chiuderà la scatola e la butterà via.

Nota per il lettore: quello che avete letto non è un racconto, ma una storia vera. È successo a Montichiari, nella Bassa bresciana, pochi giorni fa. Lo zio, 27 anni, è finito in carcere come mandante dell'agguato, indagato per tentato omicidio, aggravato dalla premeditazione e dall'induzione di minore alla commissione di un delitto, e per detenzione di arma clandestina. Il tredicenne, non imputabile per l'età, è stato affidato ai servizi sociali. Il giudice ha scritto nell'ordinanza che “il minore è stato sottoposto a un'insopportabile tensione emotiva”. Altre parole strane, fredde e insufficienti a descrivere la paura di un bambino con la pistola. Robe da grandi.

Gianluigi Schiavon 

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