Il bene e il male, la coscienza e l’incoscienza, la faciloneria e la professionalità. Fra questi due poli oscilla l’accesa conversazione tra l’ufficiale della Capitaneria di Porto di Livorno, Gregorio Maria De Falco, e il comandante della Costa Concordia Francesco Schettino. Quei pochi minuti di batti e ribatti telefonico ad altissima tensione hanno fatto il giro del web in ogni angolo del mondo, mostrando le due facce dell’Italia nel cuore di una tragedia del mare.

De Falco incalza Schettino, che si trova già su una scialuppa di salvataggio, gli intima di tornare sulla nave per soccorrere i passeggeri del Concordia. E il comandante ribatte con mezze frasi, risposte tentennanti degne di un film di Alberto Sordi. Schettino sembra una delle caricature cinematografiche del grande attore italiano: così impegnato a salvare la pelle, a legittimare un comportamento codardo, a trovare scuse poco plausibili per non risalire sulla nave a compiere il suo dovere di comandante. Il suo slang lento e farcito di dialetto campano contro gli ordini vibranti e lo sdegno del suo interlocutore.

La voce tagliente di De Falco, il suo senso del dovere, è anche senso dello Stato, orgoglio dell’uniforme che indossa. Quando inveisce contro Schettino, non è per umiliarlo ma per scuoterne la coscienza, per ricordargli che tocca al comandante guidare le operazioni di salvataggio, contare i morti e i dispersi. Improvvisamente la nave somiglia a una piccola città, a un’Italia in miniatura, dove il capo-sindaco-comandante è pavido come un Don Abbondio. I richiami di De Falco sono la voce della coscienza ma anche la fotografia di un Paese solido, forte e pulito, che non vuole smettere di sperare. Anche nei momenti più bui.