Il dromedario sbadiglia rumoroso e annoiato. Per lui lo splendore di Petra, il gioiello della Giordania, è uno spettacolo quotidiano. La sferza dei piccoli beduini cala sulla groppa degli asini, stanchi di portare turisti grassi e ansimanti. Eppure, lungo lo strettissimo canyon che conduce al Tesoro di Petra, uomo e natura hanno costruito uno spettacolo straordinario e inimitabile.

La roccia calcarea dai mille colori, col bianco e l’azzurro che intaccano il rosso del rame, disegna uno scenario unico, una gigantesca quinta naturale. La roccia-balena diventa roccia-elefante, se cambi il punto di osservazione, e in fondo al cardo romano si staglia una montagna a forma di cammello. Terremoti, acqua e ghiacciai hanno lavorato come un artista divino, un magico inventore di forme e colori. Qui l’artefice del capolavoro è la natura stessa e l’uomo ha avuto il merito di assecondarla. I Nabatei hanno reso eterna questa valle nascosta, rispettando la legge della pietra. Le tombe, i templi, le case sono figli naturali della roccia, una sua emanazione. A colpi di scalpello, è nata la montagna incantata: nelle viscere i suoi mille colori, nelle maestose facciate il meglio dell’arte greca, egiziana e romana in una sintesi alta e mirabile.

Se varchi la soglia del monastero, ti trovi in una cripta naturale, che è il cuore stesso della montagna, la sua radice più viva. Gli architetti nabatei non hanno dovuto aggiungere altro: la nuda roccia e i suoi arcobaleni che toccano l’anima. Ma è proprio oggi, a duemila anni di distanza, che lo splendore di Petra aggiunge una nota nuova al suo concerto di emozioni. Basta fissare la roccia della processione per indovinare le figure del soldato e dei cammelli. Gli artisti nabatei li hanno scolpiti con semplici tratti, rubando le sagome alla montagna. E oggi la natura si riprende quelle figure, le riporta nel suo regno di pietra. Solo in superficie rimane la traccia degli antichi maestri che ci hanno consegnato questo gioiello. Perché l’uomo non dimentichi mai di essere genio e polvere.