La fine di un papato è sempre evento epocale. Ci costringe a fare i conti con la fragilità umana, con il mistero dell’aldilà, con noi stessi e il nostro vissuto. L’addio di un Papa diventa momento di riflessione e di bilancio personale. Scopriamo come e quanto siamo cambiati, come si è evoluta la nostra vita nello spazio di un pontificato. Il lungo regno di Giovanni Paolo II, con i suoi 28 anni, ci aveva abituato a un respiro ampio, a uno sguardo prospettico sulle cose e i momenti della vita.
Quel Papa dalla gigantesca statura morale, che volle restare aggrappato al soglio di Pietro anche negli anni della vecchiaia e della malattia, ci aveva trasmesso la sua intepretazione del ruolo di vicario di Cristo in terra. Nel dramma personale dell’ uomo, in quel suo modo di portare la croce, Papa Wojtyla ha rinnovato l’idea dell’intangibilità del ruolo, dell’affidamento totale ai piani e ai voleri di Dio.
Per questo le dimissioni di Benedetto XVI ci colgono alla sprovvista, ci lasciano spiazzati, nonostante i sussurri e le ipotesi che circolavano da molti mesi. Ratzinger ha deciso di porre fine al suo pontificato: un fatto rarissimo nella storia della Chiesa e sempre motivato da contingenze pariticolari. Questa volta il ”gran rifiuto” del Papa nasce da una valutazione delle proprie forze di uomo e dalla consapevolezza che la chiesa del Duemila richiede una guida forte, non solo nello spirito ma anche nel corpo.
E’ anche questo un modo di passare alla storia, di entrare nella galleria dei grandi pontefici che hanno lasciato un solco nella vita della Chiesa. Non è per viltà che Bendetto XVI lascia ma per la piena consapevolezza del gravoso ruolo che Dio gli ha assegnato.
La fragilità del Papa è anche la fragilità dei nostri tempi, la paura di affacciarsi sul domani, il timore di non essere all’altezza di governare una realtà in continua e tumultuosa evoluzione. Per questo sentiamo così umano e così moderno Benedetto XVI, per questo le sue dimissioni ci spiazzano ma lo avvicinano a noi. Come un uomo fra gli uomini.