La morte di Pietro Mennea è una ferita in fondo al cuore di chi ama lo sport e la passione. Pochi atleti al mondo, come lo sprinter di Barletta, hanno incarnato nel modo più alto e più vero il concetto di sport come dedizione, sfida con se stessi, mistica applicazione.
Solo con la legge del sacrificio, con una volontà di ferro, con la consulenza tecnica di un amico-allenatore-pseudopadre come Carlo Vittori, il piccolo e sottile Petruzzo da Barletta è diventato un cigno dell’atletica, un personaggio da leggenda.
Non è mai stato uno stilista Mennea, non aveva la grazia e la naturalezza di un Berruti, l’eroe indimenticato di Roma 1960. Ma sui 200 metri, il suo terreno di elezione, Petruzzo sprigionava una forza nervosa, una rabbia agonistica che trasformava i piedi in artigli pronti a graffiare il terreno, a scavare il tartan per trarne una spinta animale, irresistibile per chiunque. E mostruosi erano i suoi finali di gara: quando gli altri declinavano per la violenza dello sforzo, Petruzzo usciva veloce come un treno, l’Espresso di Barletta, per agguantare la vittoria, per firmare anche in pista il suo riscatto di uomo del Sud capace di imporsi agli sprinter di tutto il mondo.
Ripercorrere le tappe della carriera di atleta è come scorrere il film della nostra vita con gli acuti fantastici dell’oro di Mosca nel 1980 e il record del mondo conquistato in altura a Città del Messico nel 1979: quel 19”72 sui 200 metri che è rimasto imbattuto per quasi quattro lustri è come il punto più alto di una fantastica avventura.
Personaggio ruvido e scontroso, sempre fuori dagli schemi, pronto a criticare gli uomini e le storture del sistema, compreso Primo Nebiolo storico presidente dell’atletica leggera, Mennea non ha avuto vita facile dopo aver abbandonato le piste. Si è ritagliato un ruolo da grillo parlante e questo gli ha negato ogni coinvolgimento diretto, da dirigente, nel mondo che lo aveva fatto grande. Peccato perché l’atletica avrebbe potuto giovarsi della sua esperienza, del suo talento, della sua pulizia morale.
Ma Mennea se ne va sulle ali del mito, ci saluta idealmente da quella pista di Città del Messico, con la sua faccia da Totò triste finalmente aperta in un sorriso e le braccia spalancate ad abbracciare il mondo.