Ha vinto la squadra più forte del mondiale, la meglio strutturata, quella che ha puntato su un progetto tecnico-organizzativo degno di questo nome. Ora tutti scoprono che la Germania ha inventato le Accademie dei giovani talenti, che ha speso cento milioni di euro per investire sul futuro, che Loew lavora a questo successo mondiale dal 2004, prima come secondo di Klinsmann e poi come Ct.
Ha tirato su il gruppo di una grande under 21, ha innestato giocatori di ogni etnia e ne ha fatto un bel gruppo, solido come il cemento. Non c’è una stella assoluta, anche se il talento sgraziato di Muller vale la citazione ma un collettivo che non molla mai e giocatori funzionali per ogni ruolo, comprese le riserve che hanno deciso il mondiale: rifinitura di Schurrle e gol di Gotze. C’è un portiere (Neuer) che ha piedi da libero vecchia scuola, c’è un centrale difensivo insuperabile (Hummels) e un centrocampista che unisce le epoche così come raccorda il gioco (Schweinsteiner).
Ma tutto questo non sarebbe bastato se l’Argentina avesse messo a frutto le tre-quattro clamorose occasioni da gol costruite in contropiede, recitando alla perfezione (tiro finale escluso) il copione disegnato da Sabella.
I sudamericani sono stati traditi dai loro assi dell’attacco: da Higuain, che si è mangiato un gol fatto in apertura, da Aguero, sempre impreciso nel momento della stoccata decisiva, da Palacio inutilmente solo davanti al portiere, e soprattutto da Messi. Qualche fantastica accelerazione, un paio di rifiniture di pregio e un quasi-gol in avvio di ripresa e poi il reuccio argentino si è spento come una candela. Dicono che fosse in preda a crisi di vomito, forse figlie della tensione, e la sua faccia assente durante la premiazione dice che qualcosa non funzionava a dovere nell’anima del campione.
Resta il fatto che l’Argentina di Maradona e Caniggia, nel 1990, seppe eliminare l’Italia di Vicini, figlia di un progetto in tutto simile a quello tedesco (l’under 21 trasformata in nazionale A), mentre quella di Messi ha fallito sul traguardo la consacrazione.
La delusione più clamorosa viene proprio dal fuoriclasse: Mentre Mascherano, vero leader della squadra, sputava sangue a centrocampo su ogni pallone e copriva uno spazio immenso, il re dei re si limitava a trotterellare in mezzo al campo in attesa di un pallone giocabile, di un rimpallo che gli permettesse di innescare la giocata vincente. E’ sul piano umano che Messi è infinitamente lontano da Maradona, non sa essere trascinatore e uomo-squadra, non sa vestirsi da leader, nonostante i galloni di capitano, non sa esaltare la squadra come il divino Diego.
Si spegne così il sogno argentino, come l’ultima nota mesta di un tango, mentre i tedeschi, gonfi di gioia e di birra, festeggiano il loro quarto trionfo mondiale lungo la spiaggia di Copacabana.