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Cosa ci insegna Valentino RossiLeo Turrini - 19 ottobre 2014

Come ho scritto spesso, io non sono un esperto in materia di motociclismo.

Da giovane ero amico di Walter Villa, poi ho conosciuto un mito come Giacomo Agostini e ho voluto e voglio bene a Luca Cadalora.

Ma non è il mio pane, per intenderci.

Ciò premesso, credo che la vittoria australiana di Valentino Rossi possa e debba insegnarci qualcosa.

Noi italiani, dico in generale, siamo sempre molto lesti a divorare i resti del fuoriclasse invecchiato o non più trionfante.

E’ una cosa che appartiene, disgraziatamente, al Dna del popolo. Così come appartiene al nostro Dna la cultura del sospetto, che in realtà non è mai l’anticamera della verità, semmai del khomeineismo. Hai una opinione che a me non piace? E io immagino tu sia un venduto, eccetera. Sempre meglio che ragionare, no? E Internet, nella sua bellezza, ha esasperato il fenomeno. Perchè l’anonimato ‘virtuale’ fatalmente esalta la codardia, l’ignavia, l’arroganza.

Tutto questo per dire che Rossi merita un grazie.

Non tanto per il passato gloriosissimo. I numeri parlano per lui e stop.

No.

Io lo ringrazio per il presente.

Perchè ha dimostrato e sta dimostrando che si può invecchiare, cosa fisiologicamente inevitabile, con enorme dignità.

Ha dimostrato e sta dimostrando che la longevità agonistica è un plus: debbo aver digitato le prime righe sul suo conto quasi vent’anni fa, ero un po’ ragazzo anche io e intorno avevo tanti amici che poi il destino ha portato via. Perchè uno si accorge del tempo che passa quando la foresta delle relazioni umane si rimpicciolisce, albero dopo albero.

Non so niente di Valentino persona, mi sarebbe piaciuto vederlo su una Ferrari da Formula Uno, poteva essere una gran storia da narrare.

Saperlo e vederlo ancora primo, laggiù in Australia, mi aiuta e mi fa coraggio.

E’ bello quando puoi dire a te stesso: forse la vita non è stata tutta persa, forse non è stato tutto sbagliato.

Va mo là.