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Cosa cambia per la Ferrari da Gp in BorsaLeo Turrini - 29 ottobre 2014

Se ne parlava da un pezzo.

Ora sta per accadere.

La Ferrari quotata in Borsa è la realizzazione di un antico disegno di Montezemolo, datato 2000. Non se ne fece nulla perchè la Fiat era alla canna del gas e venne deciso (ricordate?) di vendere a un pool di banche il 35% dell’azienda, in modo da riempire subito le casse. Più avanti gli Agnelli-Elkann si ricomprarono, quasi per intero, il pacchetto di azioni.

S’intende che l’operazione annunciata adesso da Marchionne è diversa. Andrà sul mercato il 10% della Rossa, ovviamente immagino che Piero Ferrari conserverà il suo dieci e il restante ottanta per cento sarà spartito tra i soci di FCA.

Preciso che del contesto generale a me frega pochissimo: è una mossa finanziaria, la giudicheranno gli investitori del pianeta, amen.

Resta invece da comprendere quanto e come la Borsa inciderà sullo sviluppo del reparto corse.

Ci saranno certamente controlli più stringenti, imposti dalle normative internazionali (la Sec a Wall Street, per dire, pretenderà di sapere in tempo reale l’assunzione del tal pilota o del tal ingegnere).

Può anche darsi che sulla operatività non cambi una cippa lippa, del resto non risulta che la Williams, che si è quotata se non ricordo male in Germania qualche tempo fa, abbia subito conseguenze, nè in positivo nè in negativo.

Ma  a pelle, a livello epidermico, è dura resistere al sospetto, fastidioso, che l’ingresso sul listino preluda, almeno teoricamente, ‘anche’ ad una eventualità che alcuni sognano e che io invece, va mo là, aborro.

Avremo, un domani, una Ferrari non più italiana nella proprietà, dunque nel Dna?

Non mi piacerebbe.

Per niente.

Tu chiamalo, se vuoi, patriottismo d’accatto.

Forse sono solo troppo antico per questi tempi moderni…