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Com’era bella la F1 in GermaniaLeo Turrini - 21 marzo 2015

Comincio ad avere più di un debito di gratitudine con il mio amico Antonio Azzano.

Ad esempio, invitandomi a delirare alla Fiera milanese dell’auto d’epoca, ecco, mi ha permesso di conoscere personalmente il futuro ingegnere capo della Ferrari, il mio nipote adottivo Voloandre, che se vorrà potrà pubblicare qua sotto il prodigioso selfie. E in mezzo a tanta bella gente (l’ingegner Lombardi con barba da talebano, l’ex pilota Bruno Giacomelli, gli amici Rai Bortuzzo e Bruno, il direttore Coppini, il glorioso Nestore Ultima Corsa Morosini) c’era pure un altro cloggaro, TuningMax.

Davanti alla augusta platea, ho esternato a più non posso.

In particolare, mi sono permesso di esprimere lo sdegno del rimba (che sarei sempre io) per la cancellazione del Gran Premio di Germania.

Ora, andate dagli inglesi a dire che la prossima edizione di Wimbledon si giocherà sull’erba artificiale di Abu Dhabi. Oppure andate dai francesi a dirgli che la Roubaix ciclistica si correrà su una pietraia di Sochi.

Vi prenderebbero a pernacchie.

In F1 accade, oserei asserire nell’indifferenza generale, che scompaia il Gp del paese di Schumi e di Vettel, di Bmw e Porsche, di Mercedes e Audi, eccetera.

In compenso, andiamo tra gli amici beduini del Bahrain e nel puttanodromo di Singapore.

Poi ti spiegano che l’automobilismo è in crisi.

Ma no, ma dai?

A me delle corse tedesche, avessero l’etichetta di Gp di Germania o d’Europa o che accidenti altro, restano memorie fantastiche.

Non citerò la ruota persa dai ferraristi al Ring nel 1999 per la semplice ragione che sull’episodio ho scritto romanzi e non voglio annoiare. Curiosamente, sono sicuro che non fu un complotto ai danni di Irvine, bensì una coglionata e dunque peggio, perchè come diceva Balzac (credo fosse Balzac, eh, ma magari sbaglio citazione) un errore è più grave di un delitto.

E quella volta ad Hockenheim, 31 luglio 1994. La Rossa non vinceva un Gp da quasi quattro anni, Montezemolo presidente era ancora a secco. Partirono in 26 ed erano abbastanza, dopo un giro, bomba o non bomba,  ci fu una grande moria delle vacche, insomma una carambola pazzesca. In testa, su Ferrari, Gerardone Berger. Io stetti in apnea per un’ora, ventidue minuti, trentasette secondi e duecentosettandue millesimi. Poi calò la bandiera a scacchi e finì un incubo. Incredibilmente, Gerardone era riuscito nell’impresa di non addormentarsi.

O ancora al Ring a fine settembre del 1997. Gp del Lussemburgo. Prima storica pole di Hakkinen. La notte prima aveva esagerato con degli amici di Castiglione Olona, arrivai in sala stampa che sembravo Obelix, tracimavo di birra. Mi svegliò Ralf Schumacher, che alla partenza si schiantò contro Michelone e la gara la vinse Jacques Villeneuve con la Williams. Fratelli coltelli, passa Causio che dribbla Tardelli, Musiello, Antognoni, Zaccarelli. Nuntereggae più, pensai. Mi incavolai come Asterix senza pozione, ma la frittata era fatta e Jerez ci aspettava dietro l’angolo.

Ma poi, vuoi mettere Hockenheim, dovevano essere i primi anni Novanta, stavano ristrutturando il Motodrom, i giornalisti dovevano scarpinare con la borsa del computer a tracolla per un chilometro, solo i piloti e i top manager potevano passare con la macchina su un sentiero scassato. Ed era sabato verso sera e stavo imprecando contro la fatale camminata quando mi si affiancò una Honda, vanamente tampinata da colleghi che reclamavano una battuta.

L’autista della Honda abbassò il finestrino e mi disse: salta su, ti dò un passaggio, non hai più il fisico per fatiche del genere. Non me lo feci dire due volte e per un chilometro scambiai risate con il padre del driver, che per la precisione si chiama Milton. E con il mio educatissimo chaffeur.

Mai più fatto un viaggio così breve e così intenso, così repentino e così indimenticabile.

Perchè una cosa ve la voglio dire.

Ayrton Senna era un autista formidabile, sissignore.

Quindi, andateci ben voi, a correre in Malesia.