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Con Marciello in F1 torna l’italianoLeo Turrini - 25 marzo 2015

Era una domenica sera. 11 marzo.

Dal deserto si alzava un vento caldo.

Phoenix, Arizona.

Gp degli Usa. La prima del 1990.

Avevo appena finito di raccontare per i miei lettori del lunedì una corsa bellissima. La prima di Prost sulla Ferrari. Averva vinto Senna, dopo una bella battaglia con Alesi. E al via in prima fila c’era, accanto al pole man Berger, il mio caro amico Martini. Fu allora che Gianni Agnelli dall’Italia disse: ma com’è possibile che un mio concessionario Fiat, il signor Minardi, abbia una monoposto che va più forte della Rossa?

Non ebbe risposta.

Causa fuso orario, avevo chiuso in fretta l’Olivetti, ancora non avevo un computer portatile.

Beh, c’è tempo.

Debbo andare a sentire i ragazzi italiani.

Feci notte!

Infatti c’era Tarquini, che non si era qualificato per le qualifiche con una Ags.

Poi c’era appunto il fagianello di Romagna Martini, settimo arrivato con la Minardi.

E c’era il mio conterraneo Stefano Modena, migliore degli ‘azzurri’, quinto con la Brabham.

E c’era quella vecchia canaglia di Riccardone Patrese, nono con la Williams.

E c’era il mai abbastanza rimpianto Michele Alboreto, decimo con la Arrows.

E c’era quel sacripante del Nano, all’anagrafe Alessandro Nannini, poco bello e possibile avrebbe cantato sua sorella, undicesimo con la Benetton.

E c’era Mr Dinasty, alias Paolone Barilla, ritirato dopo 54 giri per noie alla frizione della Minardi,

E c’era Andrea De Cesaris, anche lui andato via troppo presto, lasciato a piedi dal motore della Scuderia Italia.

E c’era Ivan Capelli, che non conoscendo ancora l’ingegner Bruno non aveva colto i problemi elettrici della Leyton House.

E c’era Nicola Larini, furioso con l’acceleratore della sua Ligier.

E c’era Gianni Morbidelli, che era andato a far compagnia al cinghialone Tarquini alla fine delle qualifiche del sabato.

Riempirono il mio taccuino di opinioni, pareri, battute.

Io ho voluto molto bene a tutti questi ragazzi, testimoni e protagonisti di un’epoca nella quale era normale, persino scontato, che un giovanotto italiano trovasse posto sulla griglia di partenza di un Gran Premio.

Era un’altra vita, le sponsorizzazioni erano ‘facili’, magari chi doveva controllare certe cose non le controllava e non erano tempi da recessione-deflazione-depressione (in tutti i sensi).

Però adesso sono anni che tra i piloti la lingua italiana non esiste e probabilmente siamo passati da un estremo all’altro.

Trulli e Fisichella sono stati gli ultimi Mohicani.

Nel venerdì della Malesia la Sauber farà girare Marciello, che è italiano ed è anche svizzero, è cresciuto nella Driver Academy della Ferrari, alcuni me ne parlano benissimo, io ammetto di conoscerlo poco poco, mi piacerebbe tanto scoprire che non è l’equivalente di un panda su due gambe, in questa era di Panda su quattro ruote.

Di sicuro, per bravo che sia, il tester del team elvetico non avrà mai tanti colleghi connazionali come quei Good Fellas di una notte in Arizona.

Ps. Mi viene in mente che alla vigilia del Gp di Phoenix fu annunciata la scomoda presenza di un serpente del deserto in area box. Commento di un pilota brasiliano: deve senz’altro essere un parente stretto di un mio rivale francese.

Eh, sì: ho visto (e sentito) cose che voi umani…