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La Ferrari tra Wall Street e HungaroringLeo Turrini - 23 luglio 2015

Che cosa hanno in comune Wall Street e l’Hungaroring?

Forse più di quanto possiamo immaginare.

Mi spiego.

Sono state attivate, come previsto, le procedure per la quotazione alla Borsa di New York del 10% della Ferrari.

Una mossa che da sola motivava l’assalto di Marchionne alla poltrona di Montezemolo. Pubblicamente vennero presi  come pretesto i flop in Formula Uno, ma questa se la potevano bere solo gli assetati di frottole.

Io invece sono un apota. Cioè, non le bevo più.

Bene.

Non c’è nulla di male nella operazione in sé. Del resto se ne parlava addirittura dalla fine degli anni Novanta e per una bizzarra ironia della storia il papà dell’idea fu proprio Montezemolo.

Aggiungo che non bisogna aver paura della modernità. Ma a un patto: devi governarla la modernità, non diventarne prigioniero. E in fondo era questa la grande lezione di Enzo Ferrari: che, per inciso, detestava le opacità della finanza.

Ma i tempi cambiano e gli uomini anche.

Dopo di che, per venire all’Hungaroring, il pericolo è che la quotazione in Borsa si trasformi nel paradigma fondamentale della azienda di Maranello. In Borsa ti chiedono sempre e subito risultati spettacolari e bla bla bla.

Ma questa ‘esigenza di mercato’ non si concilia con il Dna della Rossa. Parlo della fabbrica, della produzione: la Ferrari è un simbolo di unicità, di esclusività. La Ferrari non può barattare la qualità con la quantità, pena la perdita della sua identità.

E guardate che il ragionamento vale e fila pure per i Gran Premi.

In Formula Uno non puoi pretendere il risultato qui e subito. Devi programmare, aver pazienza se sei rimasto indietro, lavorare con una prospettiva.

Per questo io, come scrivo spesso, condivido l’impostazione di Iron Mauri Arrivabene: agisce in una logica di ricostruzione e rilancio della Scuderia ed è convinto di poter vincere il mondiale da qui a due anni.

Sarebbe dunque un disastro se si chiedessero, a lui e al gruppo, i successi immediati, perché abbiamo una quotazione a Wall Street da mantenere e da pompare.

Ecco. Non ci voleva mica Einstein per quotare in Borsa un ‘brand’ come la Ferrari. Quasi quasi ci riusciremmo anche io e i miei amici al bar Odin e Mazgiorg.

La vera partita di Sergio Marchionne, auto incoronatosi re del Cavallino, comincia adesso, almeno sul fronte della Rossa.

So di essere isolato, anche per ovvi motivi, su questa posizione.

Come si dice, meglio soli che male accompagnati.

Ps. Spazio sotto per chi vuole raccontare il venerdì dell’Hungaroring. Non sarà Wall Street, eppure a me interessa di più.