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Nel Principato con MerzarioLeo Turrini - 23 maggio 2016

C’era una volta.

Capita spesso, anche qui tra noi, di evocare il buon tempo antico e i suoi Cavalieri.

Del rischio.

Credo sia inevitabile. Sono invece meno d’accordo con chi afferma che la tendenza nostalgica è una caratteristica del popolo della Formula Uno.

Sapeste quanti appassionati di calcio preferiscono Maradona a Messi! O quanti amanti del tennis non cambierebbero mai McEnroe con Federer. Eccetera eccetera.

Però, il Vintage ha un suo perché.

Prendete Montecarlo, che ci aspetta dietro l’angolo.

Una volta ebbi una conversazione piacevolissima con Merzario.

Lui, Arturino.

L’uomo che si gettò nelle fiamme al Ring per salvare Niki Lauda.

Ma Merzario è stato anche tante altre cose. Era fortissimo al volante di macchine con auto coperte. Vinse tanto, compresa anche una Targa Florio insieme a Sandro Munari, con la Ferrari nel 1972.

E ha corso anche i Gran Premi, il prode Arturo.

Diede persino il proprio nome ad una monoposto iscritta al mondiale, che peraltro  mai superò le prequalifiche, se non ricordo male (ah, le prequalifiche! Ho fatto in tempo a vederle dal vivo, una volta o l’altra dovrò dedicare un post a quellì’ora di illusioni e di fetenzie, dal 7 alle 8 di mattina…)

Beh, mi ha raccontato Arturo com’era guidare a Montecarlo fin sul finire degli anni Ottanta, quando ancora in F1 non esisteva il cambio elettroattuato o automatico che dir si voglia e quindi i piloti erano chiamati a smanettare sulla cloche una, due, cento, mille volte.

Finivano la corsa con le mani piagate. Per una settimana o quasi a tavola dovevano essere imboccati con il cucchiaio, come bambini.

E dunque secondo Merzario i campioni di oggi (ma con oggi intendiamo ormai l’ultimo quarto di secolo) non reggono il confronto con i predecessori.