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Conte a Parigi, Irvine a ZeltwegLeo Turrini - 28 giugno 2016

Giustamente si fa un gran parlare, lì da voi, della inattesa impresa dell’Italia di Conte.

Debbo dire che essere testimoni ‘ao vivo’ di qualcosa di imprevisto regala emozioni speciali.

Come a Parigi l’altra sera.

Come a Zeltweg.

1999.

Gp dell’Austria.

Alla vigilia, depressione totale. Schumi si era appena fracassata una gamba in Inghilterra.

Teoricamente Eddie Irvine, l’altro ferrarista, era ancora in lizza per il titolo.

Ma chi ci poteva credere?

A me Eddie piaceva un casino. Lascia stare il pilota, ovviamente Michelone era di un’altra categoria.

Ma l’irlandese era un mito.

Venne una sera a cena a casa mia, aveva da poco vinto il suo primo Gp, a Melbourne.

Lui aveva vinto e nel dopo gara a Todt sembrava morto il gatto.

A tavola Eddie era stato strepitoso. Una volta spedite a letto le bambine (eh, passa il tempo!) era partito con una sequenza di aneddoti ‘hot’ che qui non posso riproporre.

Però, quando spiegò che aveva avuto una storia di sesso con una ex compagna di classe di Schumi e questa gli aveva detto che a scuola Michelone era considerato un tontolone, giuro che abbiamo preso a ridere come babbei. Solo Eddie poteva andare a cercare una tedesca vicina di banco del Fenomeno per scoprirne non solo le amatorie virtù ma anche per carpirne qualche informazione riservata…

Poi venne Silverstone e cambiò lo scenario.

Irvine aveva già firmato per la Jaguar, che si comprava la Stewart.

Il lunedì pomeriggio dopo il Gp d’Inghilterra Montezemolo gli disse: ti aiuteremo per il campionato, ti chiediamo anche di restare, a prescindere dal decorso della convalescenza di Schumi.

Eddie disse: voi aiutatemi ma io vado via, è meglio per tutti.

E sia.

Vado a Zeltweg in macchina. Porto con me il parente poliziotto, oggi dà la caccia ai dementi terroristi. Anche lui aveva un debole per Irvine. Lascia sempre stare il pilota, ma vuoi mettere il personaggio, il tipo, lo stile di vita?

Schumi è la perfezione. Noi siamo imperfetti, con chi andremmo mai a cena?

Con Irvine.

Box in Austria.

Domenica mattina. Le McLaren alè alè alè. Allora la McLaren era una gran cosa.

Solo Michael poteva batterli, pensavo io.

Il mio parente poliziotto mi fa: sì, ma se Eddie non si fa staccare di brutto all’inizio e tra Coulthard e Hakkinen combinano qualche scempiaggine, perché no?

E infatti.

Verso il finale, applicando la strategia di Ross Brawn, l’irlandese si trovò in testa.

Oh, Gesù.

Oh, Little Steven.

A due giri dalla fine ho deciso che dovevo ascoltare ‘Out of the darkness’, un pezzo del chitarrista del Boss. Gli auricolari li avevano già inventati, che ti credi?

Fuori dal buio.

Questo significava vincere quella corsa lì, per la Ferrari.

Ti dava il senso che potevamo aspettare la guarigione di Michael con un minimo di calma, senza cedere al panico.

Out of the darkness.

Bandiera a scacchi.

And the winner is Eddie Irvine, Ferrari.

Lui entra in sala stampa per la conferenza e mi strizza l’occhio. Guarda che sto pensando di poter vincere il titolo, sussurra.

Jean Todt non salì sul palco della premiazione con lui.

Si vede che gli era morto anche il secondo gatto, va mo là.