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Tutto quello che so di BinottoLeo Turrini - 28 luglio 2016

Tutto quello che avreste voluto sapere su Mattia Binotto e non avete mai osato chiedere.

Prima cosa. Sergio Marchionne non lo considera affatto un direttore tecnico ‘ad interim’. A torto o a ragione, il presidente pensa di aver imparato, sulla propria pelle, che non esistono soluzioni miracolistiche. Sergione Conceicao è convinto che ci siano, all’interno della Ferrari, le risorse indispensabili per invertire la tendenza. Nei tempi necessari, perché non basterà sostituire De Beers all’aerodinamica per vincere subito né le certezze sul futuro chiamate Vettel e Raikkonen modificano di una virgola la situazione.  E siccome in Fiat Chrysler Marchionne ha sempre scelto lui i top manager, applica la stessa ricetta a Maranello. Di Binotto gli è piaciuta la gestione dell’area motori, dopo la catastrofe da debutto di power unit nel 2014. Mattia ha dimostrato di poter valorizzare il lavoro di gruppo. Marchionne gli chiede di fare la stessa cosa su scala globale.

Che la Forza (magari di qualche bravo consulente o neo acquisto, eh) sia con lui.

Dopo di che, i ricordi personali.

Il primo è vagamente commovente. Eravamo a Suzuka, una domenica di autunno del 2006. La mattina prima del Gran Premio, ci fermammo a parlare insieme. Sapevamo che di lì a qualche ora Schumi avrebbe realizzato l’ultimo sogno della carriera oppure lo avrebbe visto svanire.

E appunto alcune ore dopo, a gara finita, a delusione orribile consumata, ci ritrovammo, io e Binotto, nel paddock riempito dalla legittima felicità alonsista. Si era rotto in gara il motore sulla Rossa, dopo oltre cinque anni! Mattia era sconvolto. Proprio qui e proprio adesso, mormorava. Ma era anche confortato da quella scena incredibile che si era svolta nel garage della Ferrari, dopo il traumatico ritiro: Michael era andato a ringraziare i componenti della squadra. Uno per uno. Senza eccezioni. E senza rimproverare nessuno, per quel propulsore andato incredibilmente, oscenamente in fumo sul più bello.

Cito l’episodio perché aiuta a comprendere la dimensione ferrarista del personaggio Di Binotto, intendo. Del resto, è entrato a Maranello che ancora portava i calzoni corti! Ma non vi racconterò che tutti stravedono per lui, eccetera: in un ambiente aziendale competitivo, non si può andar bene a chiunque. Valeva per Allison ma anche per Todt, figuratevi.

C’è poi, storicamente, uno scetticismo diffuso da vincere. L’idea cioè che in una F1 dominata dalla aerodinamica un ingegnere di estrazione motori non sia adatto per le mansioni di direttore tecnico.  Io credo sia un falso mito, Ross Brawn per dire non era un progettista. Ma vedremo e vedrete, rammentando la prova del budino. Per sapere se è buono, devi mangiarlo.

Dal mito al mite. Nel senso che Mattia è una persona educata, con tratti di gentilezza rari a certi livelli. Forse alcuni Cloggari lo ricorderanno: fu lui, Binotto, a far visitare il reparto corse ai vincitori del nostro Quizzone del 2012! E fu uno spettacolo di cortesia. Eppure, la sostanza è solida. Credo che darà il centouno per cento per centrare l’obiettivo: il nuovo direttore tecnico non è un professionista a gettone, la Ferrari è la sua religione.

Pagherei di tasca mia pur di vederlo realizzare l’obiettivo. E non solo per una solidarietà tra interisti. Ma so quanto sia difficile l’impresa. Per questo parlare del contratto di Vettel è un patetico diversivo: o gli diamo la macchina giusta, ai nostri piloti, o il mondiale, fino al 2028 s’intende, non lo vinceremo mai.