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Nibali e la crudeltà dello sportLeo Turrini - 6 agosto 2016

Quante volte ho constatato la crudeltà dello sport?

E non parlo delle tragedie.

Dico di sogni spezzati.

Dal Destino. Che semplicemente non voleva, non era pronto, non era disposto ad esaudire.

Sono venuto a vedere la corsa di Nibali.

L’orrida bellezza di Copacabana. Un incanto sospeso.

E guardavo quell’ex ragazzo di Sicilia pedalare come mai forse in carriera sua.

Lo immaginavo sul podio Gradino più alto.

L’ho scoperto per terra.

Il buio al posto della luce.

Quante volte a scuola ci leggevano di Ettore e noi bambini sapevamo che avrebbe perso contro Achille e però facevamo il tifo per lui?

Mi obiettano i puristi che il ciclismo è fatto anche di cadute.

Mi segnalano i pignoli che grazie a cadute altrui Nibali almeno in parte ha vinto un Giro e un Tour.

Tutto vero.

Ma una Olimpiade la vivi ogni quattro anni e per Vincenzo questa occasione non tornerà.

L’ho visto seduto sul ciglio della strada.

Non disperato.

Svuotato.

Spossessato, ingiustamente, di una emozione.

Mi è venuto il magone, forse per l’età.

Quante volte ancora dovrò arrendermi all’evidenza?

Lo sport, sempre al netto delle tragedie vere, sa essere crudele con i suoi eroi.