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Su Kimi, su Ettore, su Achille e su AlonsoLeo Turrini - 29 maggio 2017

E’ dalla sera tarda di domenica 28 maggio che mi torna in mente una lezione di greco al liceo classico.

Omero.

Ettore e Achille.

Lo ha già scritto, tra i tanti, il grande Buzzati.

Chi di noi, minorenne, non ha tifato Ettore, pur sapendo che non avrebbe potuto vincere contro il pupillo degli dei?

Sulla faccia di Kimi Raikkonen, sul podio di Monaco, c’era quella consapevolezza lì.

Avesse staccato Vettel di cinque sei secondi nella fase iniziale, il pur fantastico Achille tedesco non ce l’avrebbe fatta.

E non ci sarebbe stato alcun ordine di scuderia, perchè so di cosa parlo e perchè eravamo solo alla sesta gara.

Poichè pittare in contemporanea non si può, uno doveva entrare prima. Non sta scritto da nessuna parte che al secondo devi imporre di entrare al giro immediatamente successivo. Non funziona così. Vettel con gomma consumata e strada libera davanti era ancora velocissimo e questo in molte analisi viene ignorato.

Lo scrivo da raikkoniano devoto e convinto, grato al mio idolo per un week end super. E tenendo presente Ettore, perchè nulla si inventa e tutto si tiene. Di più: io sono uno che mette la Ferrari davanti a tutto.

Non c’è stato alcun replay di Zeltweg 2002, ecco. Ed evocando la frase del Drake sulla doppietta che non si discute, credevo di aver spiegato bene che non c’era alcuna intenzione di evocare tragedie e drammi del 1982. Era la solita riflessione sulla Scuderia che conta più dei piloti (al plurale).

Poi, si capisce, il fantasma di Ettore resta qua.

L’ha visto anche Fernando Alonso, bravissimo, quando la Honda lo ha lasciato a piedi a Indy. Certo Sato non è Vettel, pardon, Achille, ma sempre lì stiamo.

Ci sono sfide che non puoi vincere, anche se te lo meriteresti.