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Alesi, l’Ungheria e MansellLeo Turrini - 20 luglio 2017

Deve essere vero che più si invecchia e più affiorano ricordi lontanissimi, come se fosse ieri.

1992.

Un anno terribile e osceno per la mia generazione.

La strage di Capaci.

La strage di Via d’Amelio.

Falcone e Borsellino, le stragi, i ragazzi e la ragazza delle scorte.

Era veramente difficile immaginare un futuro decente.

E già, e gia, noi siamo ancora qua.

Mi viene in mente un raro momento di allegria.

Il Gran Premio di Ungheria.

Ero appena rientrato dalla bellissima Olimpiade di Barcellona.

Al giovedì presi il charter Ferrari.

Stagione catastrofica. Forse la peggiore nella storia delle Rosse.

Giovannino Alesi con me rideva sempre e nemmeno lontanamente poteva immaginare che un giorno si sarebbe commosso per la vittoria di un erede chiamato Giuliano.

C’era già in pista Schumi e vagamente si capiva, dal modo in cui Senna si arrabbiava con lui, che quel tedesco aveva tanto da dire.

Su all’Hungaroring c’era un caldo opprimente.

Io ero molto giù per affari miei, poi venne la domenica del Leone e riacciuffai il filo della passione.

Mansell!

Nei due anni che era stato a Maranello mi ero entusiasmato per le sue mattane.

In effetti Nigel era suonato come una campana. In senso buono.

Ma che pilota.

Era capace di qualunque impresa.

L’avevo visto trionfare in Brasile con la Rossa dal cambio elettroattuato, una rivoluzione. E nel 1989 proprio a Budapest mi aveva portato al delirio, con un trionfo in rimonta.

Adesso, 1992, stava per laurearsi campione del mondo.

Stava.

Forò, o qualcosa del genere.

Mi dissi: dovrà aspettare il prossimo Gp.

Invece rimontò, rimase dietro solo a Senna.

Alla fine, in sala stampa, Ayrton gli disse: sono contento per te, te lo meriti il titolo anche se vorrei guidarla io, la tua Williams.

E purtroppo la ebbe.

Era il 1992.

Ero giovane e triste.

Oggi, manco più giovane sono.

Eh, più si invecchia…