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All’Hungaroring con SchumiLeo Turrini - 25 luglio 2017

Quando ripenso alle mie gite all’Hungaroring, istantaneamente mi viene in mente Schumi.

Rilancio la mia proposta in caso di pole 68 di Hamilton: gli si dia il casco di Ralf.

Più seriamente.

1998.

La vittoria di Michael con le tre soste. All’epoca era ancora una trovata rarissima, che esigeva dal pilota una dimostrazione di classe purissima.

Schumi ne aveva parlato il sabato pomeriggio con Todt, Brawn e Baldisserri. Ross disse: con una pausa in più potremmo battere la McLaren, ma dipende da te.

E lui rispose: se dipende da me, allora si fa.

Lo fece.

Poi, il 2001.

Il secondo titolo iridato con la Rossa, matematicamente conquistato proprio a Budapest.

La sera dovevamo rientrare con il solito volo charter su Bologna.

Dopo il trionfo, dovevo andare all’aeroporto con Claudio Berro, allora pierre della Scuderia, splendida persona. Partiamo e il nostro autista prende un’altra strada. Ci stiamo sbagliando, faccio io. Ma Berro imperturbabile replica: no, è che non torniamo a casa, non eravamo sicuri di vincere qui il titolo e solo dopo la bandiera a scacchi abbiamo deciso di organizzare un party qua a Budapest, quindi ti portiamo in un altro hotel. Vengo anch’io al party, esclamai. Ma l’autista si voltò verso di me e sibilò: no, niente giornalisti e se lo dico io fidati, sono il perfido Luca Colajanni, erede di Claudio Berro dalla prossima stagione. Non sono ammessi appelli, reclami, ricorsi.

Ero così contento, da ferrarista, che sfanculai allegramente il Cola al debutto e mi organizzai una piacevole serata.

Infine, il 2006.

Anche allora in contemporanea al Gran Premio si svolgevano a Budapest i mondiali di nuoto. Come adesso, nel 2017. Con tanti auguri al mio conterraneo Greg Paltrinieri, che considero il figlio maschio che non ho.

Ma dicevo del 2006.

Fu una gara memorabile.

Pioggia.

Asciutto.

Alonso sulla Renault e una ruota che va via.

Michael che le ruote le consuma, restando disperatamente in pista per tentare di strappare una vittoria che avrebbe meritato per la straordinaria prestazione.

Ma finì male.

Mi resi conto quella sera che probabilmente il destino non avrebbe permesso al Campionissimo di chiudere col botto la sua avventura da ferrarista.

Ci sono attimi in cui ti accorgi che la sabbia della vita sta scorrendo via come in una clessidra che non puoi spaccare, perché non dipende da te.

Quanto al presente, all’Hungaroring 2017, il mio stato d’animo è espresso dalla frase sotto.

Don’t panic. I’ve got it.