Il voto americano e le convenienze dell’Europa.
Gentile signor De Carlo,
Obama ha già votato pensando, forse, di incentivare così il voto anticipato. Al
dopo elezioni americane vengono rimandate molte scelte, perfino la Corte Suprema
dell’Unione indiana deciderà, guarda caso, l’ 8/11 sul caso dei Marò italiani
trattenuti in India ingiustamente : c’è un clima sospeso di vibrante attesa
perchè il ruolo dell’America sulla scena planetaria, nonostante la voragine del
suo debito pubblico, è ancora molto importante.
Mentre alcune grandi imprese
americane (l’articolista italiano non fa nomi) scrivono ai loro dipendenti per
suggerire loro di non votare Obama perché rinnovargli il mandato le potrebbe
mettere in seria difficoltà, Ayman al Zawahri, in due video ripresi sui siti
fondamentalisti islamici dalla sorveglianza americana, ha, tra le altre cose
(incitato al rapimento degli occidentali, invitato gli egiziani a portare a
compimento la rivoluzione) accusato Obama di essere un “bugiardo” per non aver
ammesso la sconfitta degli Stati Uniti in Afghanistan.
Mancano solo otto giorni
al voto e la posta in gioco è così importante che altri colpi di scena
potrebbero volgere la scelta degli indecisi verso Romney mentre le penne
giornalistiche italiane sono prevalentemente, anche se sempre più stancamente,
pro-Obama.
Nella vendita delle maschere per Halloween,quella di Obama batte il
Romney gommoso 60-40 e gli scommettitori lo danno ancora vincente anche se per
un pugno di voti: un quadro, insomma, tuttora molto incerto.
Personalmente sarei
per cambiare l’inquilino della Casa Bianca, ma resta l’incognita per
l’elettore, del timore di un salto nel buio: i candidati hanno esposto quello che
vogliono fare, senza dire come, oppure il contrario.
Risultato: L’utopia
democratica esce sempre più indebolita dalle campagne elettorali.
Distinti saluti,
Luisella Rech
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Anch’io sono per cambiare l’inquilino della Casa Bianca dopo il disastroso bilancio di colui che ci ha abitato nei quattro anni passati.
Non la pensano così – come lei nota – i giornali che fanno opinione. Il New York Times in testa a tutti. Domenica scorsa ha fatto conoscere il suo endorsement: auspica un secondo mandato di Barack Hussein Obama.
Il che non necessariamente si traduce in un vantaggio. Anche negli States i giornali sono sempre meno letti. E dunque la loro influenza non è più quella di dieci o vent’anni fa, quando vendevano il doppio.
Diverso il discorso per i grandi networks televisivi, anch’essi in maggioranza di tendenza liberal.
Gli ultimi sondaggi danno al repubblicano Romney qualche punto in più del democratico Obama. Ma si tratta del voto popolare. Quello che conta è il voto elettorale, Stato per Stato, vale a dire quanti grandi elettori ogni candidato riuscirà ad assicurarsi.
Per essere eletto ce ne vorranno almeno 270. Obama ne ha sulla carta 239, secondo un conteggio approssimativo. Il suo avversario 209. Decisivo sarà dunque il voto dei cosiddetti Swing States, Florida, Ohio, Michigan, Pennsylvania, Colorado.
Lei mi chiederà perché la mia preferenza vada al repubblicano. Le risparmio ogni considerazione ideologica. Mi limiterò all’impatto economico. Con Romney – rivelano sempre i sondaggi – ci si aspetta un rilancio dei consumi. I quali a loro volta dovrebbero determinare un maggiore import dall’Europa. Di qui la positiva ricaduta sulle nostre asfittiche economie.
Negli ultimi anni invece i consumatori americani sono stati molto cauti. Hanno acquistato meno merci provenienti dall’Europa. Si sono messi a risparmiare, contrariamente alle loro abitudini.
Non accadeva da decenni. Gli americani sono conosciuti per dedicare ai consumi tutto quanto guadagnano e a volte anche di più.
Al tempo stesso le grandi corporations hanno smesso di investire e dunque di assumere, nel timore che l’amministrazione democratica fosse portatrice di altre tasse e altre intrusioni della mano pubblica nel settore privato. Risultato: centinaia i miliardi di dollari inutilizzati.
Un ritorno di fiducia nel mondo imprenditoriale rimetterebbe in circolo queste grandi risorse riattivando il circolo virtuoso della ripresa.
Ultima annotazione: sugli Stati Uniti incombe una nuova recessione, quale si avrebbe se – in caso di riconferma di Obama – il vecchio Congresso, diviso fra repubblicani e democratici, non si accordasse per rinviare i tagli automatici del fiscal cliff. E allora altri guai per tutti, sull’una e sull’altra sponda dell’Atlantico.