Catullo, Lesbia e il passero
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Firenze, 13 gennaio 2016
Piangete, o Veneri e Amorini
Piangete, o Veneri e Amorini,
e tutti voi uomini dal cuore gentile.
Il passero della mia ragazza è morto,
il passero, delizia della mia ragazza,
che lei amava più dei suoi occhi;
infatti era dolce come il miele e la riconosceva
così bene come una bambina sua madre,
ne mai si muoveva dal suo grembo,
ma saltellando ora qua ora là
cinguettava alla sola padrona.
Ora va per il viaggio tenebroso
da dove negano che si ritornato qualcuno.
Che voi siate maledette, tenebre crudeli
dell’Orco, che divorate ogni cosa bella;
un passero così bello mi avete preso.
Che disgrazia! O povero passerotto!
Ora a causa tua gli occhi della mia ragazza
sono gonfi e arrossati per il pianto.
Lugete, o Veneres Cupidinesque
Lugete, o Veneres Cupidinesque
Et quantum est hominum uenustiorum!
Passer mortuus est meae puellae,
Passer, deliciae meae puellae,
Quem plus illa oculis suis amabat;
Nam mellitus erat, suamque norat
Ipsa tam bene quam puella matrem,
Nec sese a gremio illius movebat,
Sed circumsiliens modo huc modo illuc
Ad solam dominam usque pipiabat.
Qui nunc it per iter tenebricosum
Illuc unde negant redire quemquam.
At uobis male sit, malae tenebrae
Orci, quae omnia bella deuoratis;
Tam bellum mihi passerem abstulistis.
O factum male! io miselle passer!
Tua nunc opera meae puellae
Flendo turgiduli rubent ocelli.
Catullo
(dai Carmina, 3)
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