Misconosciuto Betocchi
Firenze, 25 aprile 2012 – Carlo Betocchi, un classico del Novecento nettamente sottovalutato: un poeta la cui conoscenza e il cui apprezzamento restano del tutto inferiori ai propri meriti. Giocano contro, probabilmente, molti ingredienti: la sua toscanità (quanti toscani penalizzati negli attuali bilanci letterari di un secolo), il suo cristianesimo intrinseco alla poesia (un cristianesimo dapprima naturale e fondante, poi problematizzatosi fino ad una dichiarata «fede-non fede»), la sua stessa autorizzata e semplificata immagine di francescano «poeta per dono», per grazia ricevuta. Tutto congiura a emarginare un messaggio poeticamente intenso, trepidante e indispensabile come il suo, e l’errore di giorno in giorno si aggrava, visto che il mondo sempre di più ha bisogno – drammaticamente – di poesia.
Ma Betocchi, come tutti i veri poeti, è là, all’arduo discrimine in cui l’io e il reale si incontrano, s’interrogano, comunicano. Di là Betocchi continua ad affermare, a margine di un esercizio della parola splendidamente espletato a nome di tutti: «Sono rimasto fedele a questa convinzione: la poesia nasce dal rinnegamento di se stesso. Ho scritto una poesia dove si parla del cuore, dove si dice: dimentica te stesso, cerca di essere il cuore degli altri».
In epoca di top ten fu chiesto una volta a Maro Luzi di indicare la poesia più bella del nostro Novecento, e Luzi non esitò allora a segnalare un testo di Betocchi cui spesso anch’io avevo pensato e penso come a qualcosa di stupefacente. Eccolo, quel testo che incanta e in cui la poetica di Betocchi culmina:
Rotonda terra; scena che si ripete,
in te, del saluto serale: consuetudine
mia planetaria, con te e i tuoi tramonti:
trasalimento, di tegola in tegola,
del mio vivere che se ne va col tuo
trapassare, lume diurno, lento,
sul tetto davanti casa; e mio formarsi,
intanto, un petto come di colomba;
e metter piume amorose per la notte
che viene; ravvolgermi unitario
con essa: pigolìo interiore; perdita
dell’umano: divenir mio universale.
Originariamente apparso nelle Poesie del sabato, questo capolavoro si può leggere assieme a tanti altri nel volume mondadoriano di Tutte le poesie, a cura di Luigina Stefani, con un illuminante saggio introduttivo di Luigi Baldacci. Ma bastano questi versi per capire chi era Betocchi, per rendersi conto di quali torti la sua memoria e la memoria del mondo stiano subendo.
Marco Marchi