Maria Antonietta Rauti
Gesto quotidiano, condiviso semplicemente con la moglie Drusilla Tanzi… Gesto libero, piano, accompagnato dalla mano del Poeta rinvigorita dalla storia che invecchia, ma è viva. Le scale rappresentano la vita che sale o scende a seconda degli eventi che accadono. Quell’insieme, annulla la solitudine, appoggia l’equilibrio precario, lo mantiene, nella stretta di una mano che regge, sorregge e conduce i passi anche nell’olio che non riconosce i gradini storti della vita.
‘Notizie di poesia’. Luglio, il post del mese ex aequo (Montale, con i vostri commenti)
in
Articolo 1,
Cronaca
Firenze, 31 luglio 2017 – Non era mai accaduto nella storia delle nostre “Notizie di poesia”: una perfetta parità che porta sul podio, raddoppiandone il gradino più alto ed ambito, due post del mese di luglio. Rigorosamente in ordine alfabetico, sono infatti Mario Luzi ed Eugenio Montale i vincitori ex aequo di questo mese, rispettivamente con L’infinito ritrarre. Luzi e Francesconi e Ho sceso dandoti il braccio. Montale. Montale (che è Montale) e con una testo dagli Xenia di Satura decisamente votato alla popolarità pareva non dover temere concorrenze. E invece… E invece un altro grande poeta del Novecento italiano come Mario Luzi gli si è affiancato nello spartirsi la vittoria (e anche la sua poesia tratta da Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini è di altissimo profilo, mentra la suggestiva ritrattistica di Mario Francesconi avrà sicuramente fornito per suo conto un contributo).
E’ stato così giocoforza anticipare di un giorno il riassuntivo indice per autore di luglio e riservare due giornate del blog per i due post vincitori, e ambedue le volte, come di prassi, con i vostri commenti. Oggi, dopo Luzi, Montale, e tra i commenti su Montale segnaliamo in particolare quelli di giacomotrinci, Antonella Bottari e Valentina Fiume. Eccoli, in ordine: “Una ‘discesa’ nella tradizione lirica amorosa che tocca un ritrovato stile novo, attraverso comuni scale, di una comune discesa, di una vita umana toccata nelle sue debolezze, fragilità, crolli. Il linguaggio colloquiale non deve ingannare: come la facciata della vita, è una buccia. Nascosta nella superficie prosastica, si tendono rime, chiasmi, incroci, si scoprono versi ottonari, novenari, endecasillabi da canto ritrovato: come approdo di una ritrovata poesia”; “Lo stile della poesia intimo, colloquiale nella forma, ha dei ritmi che vanno evidenziati per meglio cogliere il segno che della donna amata il poeta racchiude nel suo animo ora che ella non è più. La lingua prosastica e quasi d’uso comune (coincidenze e prenotazioni sono immagini legate alla metafora del viaggio) non è più spigolosa come nei testi giovanili, il registro linguistico è semplice e colloquiale nell’evocare ricordi sollecitati dalle occasioni più disparate. Brevi osservazioni sulla trama fonica: essa non esclude una sapiente struttura, anzi: la bipartizione delle strofe è sottolineata dalla ripresa dello stesso verso con una variante (vv. 1, 8), i versi 5-6-7 sono endecasillabi, le rime (crede/vede, due/tue) legano gli ultimi versi di ogni strofa, le assonanze creano echi fonici tra le parole-chiave (scale/offuscate, viaggio/braccio). Epigrammatica definirei l’iperbole iniziale, l’ossimoro del verso 3 ‘è stato breve il nostro lungo viaggio’. E per concludere un parallelismo; così come ‘Mosca’ guida con occhio vigile la mano del poeta, cogliendo di ogni istante , occasione, momento la pienezza e la consapevolezza profonda della vita e consegna idealmente ai posteri un poeta che ha segnato profondamente la storia della letteratura italiana nella sua modernità e lessico pregnante, altra donna (Giuseppina Strepponi), acuta infaticabile musa in altro tempo a Verdi: 3 gennaio 1853: ‘Anche se tu non hai scritto nulla? Vedi? Non hai il tuo povero Livello, in un angolo della stanza, raccolto sulla poltrona, che ti dice: – Questo è molto buono, mago; no questo non è buono. Ripeti, questo è originale. Ora senza questo povero Livello, Dio ti castiga e ti obbliga ad aspettare e ti lambicca il cervello, prima che si aprano le porte della tua testa per far sì che escano le tue magnifiche idee musicali'”; “Una straordinaria poesia… tra le più belle a mio parere… un testo che rivela come la vita sia un vetro smerigliato di coincidenze, di incontri mancati, di fughe, di arrivi inattesi. E inoltre racconta una nekyia…una discesa agli inferi con una presenza/assenza. Quella kore (pupilla) che fa luce. Ma resta il rintocco vuoto dello scalino… l’horror vacui…tremendamente affascinante. E come diceva la poetessa Helle Busacca, amica insieme a Sara Virgillito di Eugenio Montale…: ‘eravamo mortalmente innamorate io e Sara e mortalmente Montale diceva per noi tutto quello che avremmo potuto dire'”.
Al secondo gradino del podio, come anche ieri abbiamo segnalato, Giorgio Caproni con Caproni e il gibbone, terzi classificat infine, ancora alla pari, Carlo Betocchi e Sylvia Plath, con L’alba e gli angeli. Carlo Betocchi e Papà bastardo. Sylvia Plath. Che eletta schiera di poeti del Novecento!
Marco Marchi
Ho sceso dandoti il braccio. Montale
VEDI I VIDEO “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale” letta da Franca Nuti , … e da Luca Zingaretti , “Avevamo studiato un fischio per l’aldilà” , “Il grillo di Strasburgo” letta e introdotta dal poeta , “La storia”
Firenze, 5 luglio 2017 – Nella sua ultima stagione Montale rinuncia perentoriamente ad una visione alta della poesia, ben oltre gli abbassamenti di registro e le scelte ideologicamente antiauliche della sua poesia delle origini: scelte in qualche modo corrette e ridiscusse, a ben vedere, a partire da un’opera come la raccolta venuta immediatamente dopo Ossi di seppia, Le occasioni.
C’è un primo Montale, che cronologicamente si estende fino a comprendere quello che rimane a mio avviso il suo libro più alto, La bufera e altro, e c’è un Montale venuto dopo, da Satura in poi diciamo, che compie scelte sì in linea di continuità con la sua visione negativa e probabilistica dell’esistenza, ma entra in questa sua nuova realtà costituita da un assurdo quotidiano registrabile e causticamente ironizzabile attraverso una sostanziale desublimazione del lavoro di scoperta affidato alla poesia e, in senso nuovamente mimetico e insieme parodico, attraverso una desublimazione integrale della propria immagine codificata di poeta.
Nelle poesie dell’ultimo Montale si ritrovano, com’è noto, le figure, i simboli, gli emblemi della grande poesia montaliana, ma ironizzati, parodicamente diminuiti anch’essi, ferialmente riportati alla ribalta della scrittura per essere dissacrati: il porcospino che suggellava la celebre Notizie dell’Amiata diventa ad esempio nella poesia A pianterreno un porcospino a cui piace la pasta al ragù. Oppure si pensi alle canoniche apparizioni angeliche che fungono da intermediarie tra il terrestre e il trascendente in molta poesia delle Occasioni, destinate a diventare nel Montale degli ultimi libri il piccolo «angelo nero», il «miniangelo spazzacamino» che si ripara nello scialle di una caldarrostaia.
Il Montale di libri come Quaderno di quattro anni e Altri versi giunge autocriticamente a corrompere, con la sua pronuncia diversamente rigorosa ed eticamente responsabile fino alle oltranze e ai paradossi nichilistici, una sua immagine già consegnata alla storia della poesia; fino a proporci, nella sua ultima ed ultimissima produzione, una sorta di radicale e irreparabile impossibilità della parola poetica a raggiungere la realtà: una integrale sfiducia in quegli «strumenti umani» della poesia – per usare il titolo di un poeta che al magistero di Montale deve molto, Vittorio Sereni – tanto da lui praticati e accreditati nel corso di una vita. Questo, anzi, probabilmente rappresenta l’estremo e più significativo messaggio che Montale poeta ci consegna: la parola si approssima all’oggetto, ma non giunge mai a toccarlo, a veramente comprenderlo, a decifrarlo, a offrire valide risposte alla ricerca di significato dell’esistenza, del destino dell’uomo e delle cose nel mondo.
Una totale, dichiarata sfiducia nello strumento poetico contraddetta però da Montale stesso, nel momento in cui anche in Satura e anche nei libri diarisitici successivi seguiti a Satura, Montale non ha esitato a rimanere un vero poeta, talvolta grande e grandissimo, pure nella fattispecie di un impegno scrittorio apparentemente svagato, dimesso e finanche dichiaratamente dimissionario, colloquilamente (ma ancora solo in apparenza, infacito di cultura e culturalismo come spesso si rivela ) facile e giornaliero.
Bastino a dimostrare questo felice paradosso i versi intensi e commossi quanto famosi della sezione degli Xenia di Satura che con vero piacere, sicuri di fare cosa gradita ai lettori delle nostre “Notizie”, oggi presentiamo.
Marco Marchi
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Eugenio Montale
(da Xenia, in Satura, 1971)
I VOSTRI COMMENTI
Giulia Bagnoli
Bellissima! Una poesia sulla vita e sulle donne che sanno vederne i segreti, capirne il senso più profondo.
Antonella Bottari
Lo stile della poesia intimo, colloquiale nella forma, ha dei ritmi che vanno evidenziati per meglio cogliere il segno che della donna amata il poeta racchiude nel suo animo ora che ella non è più. La lingua prosastica e quasi d’uso comune (coincidenze e prenotazioni sono immagini legate alla metafora del viaggio) non è più spigolosa come nei testi giovanili, il registro linguistico è semplice e colloquiale nell’evocare ricordi sollecitati dalle occasioni più disparate. Brevi osservazioni sulla trama fonica: essa non esclude una sapiente struttura, anzi: la bipartizione delle strofe è sottolineata dalla ripresa dello stesso verso con una variante (vv. 1, 8), i versi 5-6-7 sono endecasillabi, le rime (crede/vede, due/tue) legano gli ultimi versi di ogni strofa, le assonanze creano echi fonici tra le parole-chiave (scale/offuscate, viaggio/braccio). Epigrammatica definirei l’iperbole iniziale, l’ossimoro del verso 3 ” è stato breve il nostro lungo viaggio. E per concludere un parallelismo; così come “Mosca” guida con occhio vigile la mano del poeta, cogliendo di ogni istante , occasione, momento la pienezza e la consapevolezza profonda della vita e consegna idealmente ai posteri un poeta che ha segnato profondamente la storia della letteratura italiana nella sua modernità e lessico pregnante, altra donna, (Giuseppina Strepponi) acuta infaticabile musa in altro tempo a Verdi : 3 gennaio 1853: “Anche se tu non hai scritto nulla? Vedi? Non hai il tuo povero “Livello” , in un angolo della stanza, raccolto sulla poltrona, che ti dice:-Questo è molto buono, mago; no questo non è buono. Ripeti, questo è originale. Ora senza questo povero Livello, Dio ti castiga e ti obbliga ad aspettare e ti lambicca il cervello, prima che si aprano le porte della tua testa per far sì che escano le tue magnifiche idee musicali.”
Tania Montini
La metafora di afferrare il braccio dell’amata moglie, per scendere le scale, è la condivisione delle difficoltà quotidiane nel viaggio della vita. Montale ribadisce la propria concezione dell’esistenza stessa: la realtà non è quella che si vede con gli occhi e si percepisce coi sensi, fatta di impegni e casualità (coincidenze e prenotazioni), di insidie e delusioni (trappole e scorni). La vita, per il poeta, è qualcosa che va al di là delle apparenze e resta al fine misteriosa per l’uomo.
Duccio Mugnai
La consuetudine della vita intima e domestica diventa modello di un antiaulico, ma vero e profondo connubio di due persone. Una simbiosi che si è interrotta, lasciando sola e cieca una parte del binomio umano, che non sa più scegliere, decidere, accettare il veleno assimilato dall’amarezza e “il male di vivere”.
Marco Capecchi
Leggerla tante volte e sempre trovarla bellissima e nuova.
Chiara Scidone
Montale è sicuramente uno dei miei poeti preferiti del 900 italiano. “Ho sceso dandoti il braccio, almeno un milione di scale” è una poesia romantica e nostalgica allo stesso tempo. Ogni volta che la leggo, già dai primi versi, mi emoziono come se fosse la prima, l’amore e la sofferenza del poeta vanno di pari passo ed è veramente toccante. La vita del poeta sta continuando ma senza la cara moglie si rende conto che l’esistenza e le sue preoccupazioni sono solo di poca importanza. Sfido chiunque a leggere questa poesia senza rimanerne colpito.
Valentina Fiume
Una straordinaria poesia… tra le più belle a mio parere… un testo che rivela come la vita sia un vetro smerigliato di coincidenze, di incontri mancati, di fughe, di arrivi inattesi. E inoltre racconta una nekyia…una discesa agli inferi con una presenza/assenza. Quella kore (pupilla) che fa luce. Ma resta il rintocco vuoto dello scalino… l’horror vacui…tremendamente affascinante. E come diceva la poetessa Helle Busacca, amica insieme a Sara Virgillito di Eugenio Montale…: “eravamo mortalmente innamorate io e Sara e mortalmente Montale diceva per noi tutto quello che avremmo potuto dire”.
Isola Difederigo
Scale come parole, lente ridiscese per ritrovare le parole dell’umano, di un’amore più forte della vista, finalmente tutto in piena luce. Tra le più belle poesie d’amore di sempre.
m
Oggi come non mai c’è bisogno di rileggere Montale e, in particolare, l’ultimo Montale. Ci sarà preziosa la sua sfiducia nelle facoltà umane (anche nelle proprie): una sfiducia teorica e pratica, eppure non altezzosa, ma soltanto lucida e mossa da una mesta compassione. Montale sa essere antiaulico e satirico, senza però perdere una delicata sensibilità che, paradossalmente, acuisce e compensa il suo atteggiamento critico nei confronti di uomo e società.
Sabina C.
Non c’è disperazione per una dirompente passione, drasticamente spenta dall’evento luttuoso, ma delicata nostalgia per una consuetudine rivelatasi salvifica, poiché rassicurante sostegno al caotico dipanarsi delle “occasioni” del vivere.
giacomotrinci
Una “discesa” nella tradizione lirica amorosa che tocca un ritrovato stile novo, attraverso comuni scale, di una comune discesa, di una vita umana toccata nelle sue debolezze, fragilità, crolli. Il linguaggio colloquiale non deve ingannare: come la facciata della vita, è una buccia. Nascosta nella superficie prosastica, si tendono rime, chiasmi, incroci, si scoprono versi ottonari, novenari, endecasillabi da canto ritrovato: come approdo di una ritrovata poesia.
Daniela Del Monaco
L’immagine della moglie riaffiora nella mente del poeta come una guida forte, sicura, che ha illuminato passo passo ogni gradino, ogni giorno della loro esistenza condivisa felicemente. Ora che la compagna di sempre non è più al suo fianco si sente perso, incapace di proseguire da solo il proprio cammino. Rivolgendosi alla donna amata sembra quasi sussurrarle che i soli veri occhi in grado di vedere davvero, di penetrare il significato profondo della vita, seppur così indeboliti, erano soltanto i suoi.
Ilaria77
Semplicemente splendida l’immagine delle due persone, unite nella vita, che insieme scendono le scale, metafora dell’esistenza umana; d’un tratto lui, si volta ed è solo. La compagna non è più al suo fianco, rimane il ricordo della donna, compagna fedele e assidua a fargli percepire il vuoto. La pacata rassegnazione di Montale, adesso non poeta, non letterato, ma persona comune, privata del suo equilibrio, rimanda quasi ad un’immagine di tenerezza, come quei bambini che nella folla perdona la mano salvifica della madre. Una della liriche più belle e note dell’ultimo Montale.
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