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Idee / Guccini, i rapper e la rabbia

Poiché il tempo lenisce le ferite, e maturando si diventa tutti più buoni, Francesco Guccini da tempo sempre si schermisce nelle interviste rispetto alle sue canzoni più spietate. 'L'avvelenata', tipo, frutto della rabbia cieca di un momento (una recensione di Riccardo Bertoncelli), quasi da subito fu un figlio rinnegato.

Ma è scritto che le canzoni son come i fiori, lo cantava quel tale. E una volta scritte svaniscono, trovando al mondo una loro strada. E' un fatto che certe canzoni, nella memoria collettiva degli ascoltatori, si scolpiscano più di altre e forse non c'è un motivo collettivo anch'esso, ma piuttosto la somma casuale di tante ragioni singolari. È un fatto singolare, per dire, che io da amante del Maestrone, sempre più passi avanti le canzoni malinconiche o sentimentali (le so a memoria, in  mia discolpa) e mi concentri sulle altre, convinto come molti che alla fine i suoi capolavori siano proprio le invettive.

Lui pare non sia d'accordo. Ma converrà: è destino di molti cantautori del periodo più fecondo, dagli anni '70 a ridosso del rap, voler essere ricordati per le ballate d'amore e scoprirsi invece stampigliati sulle magliette nella propria versione più aguzza.

E poi come fare altrimenti? Prendi Cirano: 'Tenetevi le ghiande / lasciatemi le ali / Tornate a casa nani, levatevi davanti / Per la mia rabbia enorme mi servono giganti', o magari Quattro stracci: 'Non sai che ci vuole scienza, ci vuol costanza / ad invecchiare  senza maturità'. Che roba. E provate voi a dire a qualcuno, in versi: 'Tu hai la fantasia delle idee contorte,
Vai con la mente e le gambe corte.
Poi avrai sempre il momento giusto per sistemarla: le vie del mondo ti sono aperte,
tanto hai le spalle sempre coperte'. Oppure Eskimo (ma l'elenco sarebbe lunghissimo): 'Bisogna saper scegliere in tempo / Non arrivarci per contrarietà / Tu giri adesso con le tette al vento / Io ci giravo già vent'anni fa'.

Il paradosso è che gran parte del rap di oggi, quasi ancora più che negli esordi, è fatto di rabbia e di livore. Personalmente rifuggo come la morte  gli 'ai miei tempi'. Credo e sottoscrivo, anzi, che artisti come Marracash con 'Noi, loro, gli altri' o Salmo con il suo 'Flop' rappresentino oggi quello che un domani per forza di cose considereremo dei classici.

Ma qui il punto è la rabbia in rima, di cui molti ormai fanno sfoggio  senza 'saper usare d'un qualche metro' e senza passare, soprattutto, allo step successivo, il 'costruir su macerie'. Ché poi in fondo la rabbia serve a quello, e a cos'altro se no?