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LIBRI / La felicità del lupo

Vincitore del Premio Strega nel 2017 con 'Le otto montagne', Paolo Cognetti torna sul luogo del delitto nel suo nuovo romanzo, che si intitola 'La felicità del lupo' ed è edito da Einaudi come il precedente. Protagonista, vien da sé, è la montagna. E a poco contano le vicende di Fausto e di Silvia, di Santorso e di Babette: gli umani in questa storia fanno la parte delle pedine, e a giocare è una natura che si autoregola e guarda all'infinito, apparentemente poco sensibile all'intervento degli umani.

C'è poi una seconda protagonista, oltre a Madre Natura ed è la solitudine. Però, attenzione: è una solitudine di montagna, buona e propositiva, e  sa di vette innevate, di muschi e sole, di silenzi e profumo di linfa. E' una solitudine cercata, anche se finisce per illudere molti. Il fatto è che, posta la voglia di allontanarsi che muove tutti gli animali in fuga che si nascondono nel bosco, è poi alla fine sempre la natura a decidere chi quella solitudine può alimentarla per anni, e chi invece la cercava per un poco e poi, guarito, è chiamato a ritornare nel suo mondo.

Troppo banale sarebbe svelare chi, tra i protagnisti citati, alla fine si scoprirà nel primo gruppo e chi nel secondo. Per tutti valga il punto di partenza: la vita li affannava e così sono saliti, sempre più in alto, fermandosi soltanto dove l'altitudine va in pari col respiro, il che è un traguardo del tutto personale e difficile da quantificare.

Ci proverà Fausto, che a Fontana Fredda si rifugia dopo una lunghissima relazione naufragata. E per farlo lascerà tutto - casa, lavoro, automobile e beni terreni - fino a comprendere che la vita, per lui, ha bisogno di spazi aperti e aria rarefatta per rifarsi viva. Finirà a fare il cuoco da Babette, un'altra cittadina in fuga, ma di molti anni prima. Santorso invece, lo dice il nome, è un animale autoctono. Lui beve quell'acqua e quel vino da sempre, conosce il profumo di ogni albero e da quel mondo non si sentirebbe mai tradito. E poi c'è Silvia, giovanissima e già in fuga anche lei, che misura i viaggi in verticale, e più sale in alto e più immagina di essere arrivata lontano.

A raccontarceli è la montagna stessa, in un racconto terzo, capace di donare serenità a ogni pagina, così intriso com'è di quella voglia che hanno gli esseri umani ogni tanto di spogliarsi delle sovrastrutture e tornare al loro humus. Elemento in cui, ormai è chiaro, sembra essere nato Cognetti, così capace di descrivere luoghi e altitudini con sinestesia e perizia, con malinconia ma senza pathos in eccesso,  quasi come certe descrizioni di Rigoni Stern, o di Fenoglio, a voler scomodare i puri blasoni di boschi e salite.

'La felicità del lupo' non cambia la vita a leggerlo, ma poi cosa ci si aspettava? Al lupo, si sa, basta poco per star bene. Una pecora da scannare per nutrirsi, una traccia da seguire tra gli alberi fitti, una luna a cui ululare, unico suo desiderio irrefrenabile di socialità. Ed ecco il libro, in due parole. Le restanti vanno lette, per capire a quale categoria naturale noialtri si appartiene. Consapevoli che la risposta, se alla fine arriva, potrebbe spiazzarci.