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TEATRO / 400 euro, due ore di nudo

 

Sexting. Riportano i dizionari, è un rapporto erotico a due, mediato da un telefono o da un computer. Sesso virtuale in camere chiuse, e vite altrettanto. Poche cose illuminate e una marea di angoli bui, sul set di una trasgressione a uso telecamere, che spinge con il piede fuori dall'inquadratura tutte le insicurezze  e le solitudini che intanto genera. E' un mondo nascosto in ogni caso, ed è per questo che vederlo ostentato sul palcoscenico di un teatro, tra simulazioni di atti di onanismo, coiti mimati, perversioni descritte con dovizia, qualche problema, a rigor di logica, avrebbe potuto generarlo.

Se '400euro, due ore di nudo' (Khora Teatro, regia di Tommaso Agnese) alla fine invece è scivolato via liscio, è per tanti motivi. Primo tra tutti è l'atmosfera rassicurante e ben titolata in cui si è mostrato per la prima volta (Teatro Off off di Roma, dal 15 al 19 marzo scorsi). E poi ci sono gli attori, Edoardo Purgatori e Manuela Zero. Da segnalare non tanto - e non solo - per la presenza scenica, per la plasticità di corpi e per le capacità interpretative. Quanto, e soprattutto, aver saputo esaltare gli aspetti più nobili di un argomento che, nelle mani sbagliate, sarebbe facilmente potuto scadere in girandole di risate e doppi sensi.

Se il rischio non si è corso lo si deve a un testo e a una regia, anch'essa di Agnese, in grado di nobilitare l'argomento con una poetica a tratti anche romantica. Poi ci sono gli attori, si diceva. Purgatori in primo luogo, a cui il testo sembra calzare come un guanto. Suo il dosaggio tra alto e basso e tra fisico e mentale, e il ricorrere all'ironia dei gesti e dei toni tutte le volte in cui, in sua assenza, la scena volgerebbe alla banalità del porno. Ed è un movimento perfettamente speculare a certi registri drammatici che, dall'altro lato, Manuela Zero - attrice e ballerina - ha mirabilmente saputo innestare in personaggi che sarebbe stato fin troppo facile rendere dozzinali.

Applausi a entrambi, dunque. E a un testo (tratto dal romanzo 'Apocalisse di un cybernauta' (Tommaso Agnese, Augh! edizioni), che centra l'intento di far sprofondare lo spettatore negli abissi del 'deep web' e delle vite perdute che risucchia nel suo vortice. La sua regia, minimale senza mai risultare povera, sballotta i pubblico di camera in camera. Luoghi anonimi e rispettabili in cui, chiusa la soglia, per citare Guccini, ogni persona si trasforma nel suo avatar inquieto, alla costante ricerca di un'affermazione solo apparentemente economica ma in realtà ben più profonda, poiché fatta di esibizionismi, di prostituzione digitale, di trasgressioni immaginarie e identità chissà quanto poi fittizie.

In questo inferno dimostra di sapersi muovere Purgatori, conducendo lo spettatore in bilico tra gli abissi della quotidianità virtuale e la povertà della vita reale. Perfetto allo scopo è il suo personaggio, un artista fallito, alla perenne ricerca di un'ispirazione, di un'emancipazione, di un ritorno alla vita e poi invece ogni volta tragicamente attratto da un mondo virtuale.  Un ritratto della vita vera che, come in Dorian Gray, si arricchisce di nuove illusioni drenando energie vitali a una realtà sempre più arida. Sul fondo rimane la spietata sentenza che ci restituisce lo spettacolo, declinata in un interrogativo: è ancora possibile cambiare, invertire la china, tornare al predominio della realtà sull'ipertrofia delle sensazioni mediate? Già, è ancora possibile? La risposta non c'è. Il finale è aperto, al pari degli applausi.