L'Oriente vicino

Almeno 12 morti negli scontri fra sciiti a Bagdad

Di Lorenzo Bianchi

Almeno dodici persone hanno perso la vita e 370 sono state ferite negli scontri innescati dall’annuncio del leader sciita Muqtada al Sadr che si ritirerà dalla vita politica. Nella Green zone, vicino al ministero degli esteri, i seguaci del capofila delle Brigate della pace, “Saraya al Salam”, braccio movimentista della compagine politica “Sairoon” che nelle elezioni del 10 ottobre 2021 si era segnalata come primo partito conquistando 73 seggi del Parlamento, si sono scontrati per ore con i militanti della “Rete di coordinamento”, un cartello di formazione sciite filoiraniane il cui punto di riferimento politico è l’ex premier Nuri al Maliki. Al Sadr (nella foto) ha annunciato che farà lo sciopero della fame fino a quando non si fermeranno le violenze fra uomini in armi che hanno usato anche lanciarazzi e fucili automatici. Nonostante un robusto schieramento di forze speciali sette colpi di mortaio sono caduti sulla Zona Verde della capitale, il quartiere fortificato che ospita le ambasciate straniere, compresa quella italiana, gli uffici delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali nonché i palazzi del governo iracheno. L’esercito aveva imposto il coprifuoco a Baghdad a partire dalle 15 e 30 locali (le 14 e 30 in Italia) e dalle 19 nel resto del Paese.

Il tentativo di dar vita a una maggioranza politica si era esaurito in giugno. In quel mese al Sadr ha deciso di far dimettere la sua pattuglia di deputati lanciando accuse di corruzione contro il sistema politico del Paese. Alla fine di luglio i suoi sostenitori hanno occupato il Parlamento e organizzato un sit in di massa nella Green Zone.

I risultati erano particolarmente indigeribili per gli estremisti sciiti legati all’Iran, una moltitudine in gran parte armata. L’ex premier Haider al – Abadi, aveva definito la consultazione elettorale “una truffa”. Centinaia di persone sono scese in strada e hanno bloccato la grande arteria che collega Baghdad al settentrione del Paese. I seggi della Coalizione sciita più estremista, Fateh (La conquista), erano calati da 48 a 15. Si era registrata invece una larga vittoria per Muqtada al-Sadr, 47 anni, figlio dell’Imam Mohammed Sadeq al – Sadr assassinato a Najaf nel febbraio del 1999 da sicari mandati probabilmente da Saddam Hussein. Inalberando la parola d’ordine “Indipendenti da tutti “(leggi Usa e Iran) “Al Sairoon”, il suo partito, aveva conquistato 73 seggi su un totale di 329, venti in più rispetto all’ultima tornata elettorale, una nutrita pattuglia che però si è dimessa in blocco in giugno. La decisione è arrivata dopo otto mesi di uno stallo politico che ha fatto affondare il tentativo di dare vita a un governo di maggioranza. Nel 2003 Muqtada animò la rivolta contro l’occupazione statunitense. La seconda compagine politica più votata, 38 deputati, è stata “Taqaddoum” di Muhammad al- Halbousi, presidente del Parlamento in carica e leader dei sunniti iracheni. Al terzo posto si era collocata, con 37 seggi, la “Coalizione per lo stato di diritto” capeggiata dall’ex premier Nouri al-Maliki, uno sciita moderato che ha guidato il Paese fra il 2014 e il 2018. Trentadue mandati sono stati il bottino del “Partito Democratico del Kurdistan”, guidato da Nechirvan Barzani, un curdo che ha intessuto forti legami con la Turchia. Quindici sono stati conquistati dall’ “Unione Patriottica del Kurdistan”, di chiare propensioni filo iraniane. Solo 14 sono i parlamentari della Coalizione “Fateh” (la Conquista). L’asticella dei votanti si è fermata al 41 per cento, la percentuale più bassa registrata nelle cinque tornate elettorali che si sono tenute dopo la defenestrazione di Saddam Hussein. Si sono formati due blocchi. Da un lato la coalizione “Salvare la patria”, capeggiata da Muqtada al Sadr, quasi duecento seggi, e dall’altro, la “Rete di coordinamento”, guidata dall’ex primo ministro Nuri al Maliki, 88 parlamentari. Nessuno dei due schieramenti è stato in grado di formare il nuovo governo.

Il primo ministro in carica Mustafa al – Kadhimi aveva anticipato il voto proprio per tentare un’apertura al movimento di protesta, composto prevalentemente da giovani, che dal 2019 per mesi è sceso in piazza contro la corruzione, la disoccupazione, il degrado dei servizi pubblici e l’influenza dell’Iran nella vita politica. Centinaia di dimostranti sono stati freddati sul posto o rapiti. Secondo il network televisivo satellitare del Qatar “al-Jazeera”, spesso in sintonia con i “Fratelli Musulmani” sunniti, il movimento è convinto della circostanza che i gruppi armati filo iraniani, molti dei quali sono confluiti nella polizia di stato, siano responsabili di questa spietata repressione.

L'Isis è tutt'altro che sconfitto. Secondo il sito curdo “Rudaw” il 17 febbraio 2021 tre membri della Ventottesima Brigata delle “Forze di mobilitazione popolare” sciite “Hashd al – Shaabi” sono stati uccisi dagli uomini in nero dell’Isis a un posto di blocco che si trovava 28 chilometri a nord di Khanakin, nella provincia di Diyala che confina con l’Iran. “Hashd al- Shaabi” è nato nel 2014 quando il grande ayatollah Ali Sistani, la massima autorità sciita dell’Iraq che si fregia del titolo di “marja’ al-Taklid” ossia “fonte di imitazione”, ha invitato i giovani iracheni a prendere le armi per fermare l’Isis che in giugno aveva occupato Mosul. Il 2 febbraio 2021 cinque uomini in armi di “Hashd al – Shaabi” erano caduti in uno scontro con miliziani dell’Isis a Diyala. Altri 11 avevano perso la vita in un’imboscata dei combattenti in nero a Salah al Din, a nord della capitale irachena.

Il 16 febbraio 2021 la milizia sciita “Saraya Awliya al- Dam”, i “Guardiani del sangue”, ha rivendicato la pioggia di missili che il giorno prima si è abbattuta sull’aeroporto di Erbil, capitale del Kurdistan iracheno che ha conquistato una larga autonomia da Baghdad. Lo scalo ospita anche la base della coalizione a guida americana impegnata nella lotta all’Isis. Un contractor iracheno e uno straniero hanno perso la vita. Le autorità curde hanno arrestato due sospettati. Uno, Haydar Hamza Bayati, avrebbe confessato di appartenere alla “Kataib Sayyid Ash- Shuhada”, le “Falangi del Signore dei martiri”, anch’esse confluite nelle Forze di mobilitazione popolare. Il 26 febbraio 2021 il presidente americano Joe Biden ha ordinato per la prima volta un raid aereo in Siria orientale contro postazioni dei combattenti filo iraniani inquadrati nelle formazioni “Kaitaib Hezbollah” e “Kaitaib Sayyid ash-Shuhada” provocando la morte di un miliziano e due feriti.

Il 21 gennaio 2021 a Baghdad due kamikaze si sono fatti esplodere nella piazza Tayyaran (dell’Aviazione) sede di un mercatino di abiti usati sempre affollato e luogo abituale di reclutamento per aspiranti a lavori a giornata. Un massacro di povera gente, 35 morti e 110 feriti, alcuni gravi. Da un anno e mezzo la capitale non veniva colpita così duramente.  L’ultima carneficina di proporzioni quasi identiche, 38 vittime falciate da due kamikaze, aveva seminato cadaveri sulla stessa piazza il 15 gennaio del 2018.

Un mese prima il governo centrale aveva dichiarato solennemente che l’Isis era stato debellato. Il luogo è un obiettivo altamente simbolico per i guerriglieri sunniti iracheni. Bab al Sharqi, la “Porta di Oriente”, l’area che circonda il mercato, è una roccaforte dell’ ”Esercito del Mahdi”, l’agguerrita e potente milizia sciita dell’Iraq centrale che è stata la punta di diamante della lotta al sedicente Califfato Islamico. Gli autori dell’attentato sono stati di nuovo due. Il primo si è intrufolato fra le bancarelle degli abiti usati e ha finto un malore. Quando la gente si è avvicinata per soccorrerlo ha azionato il detonatore di una cintura esplosiva. Il secondo è scappato in direzione di Bab al Sharqi, ma è stato inseguito da poliziotti e cittadini che sono riusciti a bloccarlo e a farlo cadere terra. Appena si è visto perduto ha tirato il gancio di una cintura imbottita di esplosivo.   Il ministro dell’interno, il generale Tahsin Khafaji, ha dichiarato alla tv “Al Iraqiya” che il massacro “ha le impronte del sedicente Stato islamico”.   Il 3 marzo 2021 dieci razzi hanno colpito una base aerea degli Stati Uniti e delle forze armate britanniche e irachene ad Ayn al Asad, nella provincia sunnita dell’ al Anbar che confina con la Siria. Secondo “al Iraqiya” nell’attacco è morto un contractor per infarto.

Come per incanto. le armi si sono fermate per Papa Francesco cominciata il 5 marzo 2021. La milizia “Saraya Awliya al Dam”, la “Brigata dei guardiani del sangue”, i combattenti sciiti che avevano lanciato razzi sull’aeroporto di Erbil il 15 febbraio, ha annunciato la “sospensione di qualsiasi forma di operazione militare durante la visita del Papa per rispetto dell’imam Sistani e in nome dell’accoglienza araba”. In nome invece di una posticcia pace sociale il giorno dell’arrivo del Pontefice sono stati fermati e poi quasi tutti rilasciati un centinaio di dimostranti che a Diwaniya e a Babilonia chiedevano il licenziamento del governatore di Babilonia Hassan Mandil, perché sospettato di corruzione e di aver deteriorato “la fornitura dei servizi nella provincia”. Alcuni appartenenti alle forze dell’ordine sono stati feriti. Su twitter si sono moltiplicati gli hashtag “salvaci” e “guarda il popolo oppresso” indirizzati al Papa.

L’ultima carneficina a Baghdad mirava a destabilizzare un Paese già fragile a ridosso di una consultazione elettorale. Le elezioni parlamentari anticipate del 10 ottobre 2021 sono state la miccia di proteste durate mesi.  Centinaia di dimostranti hanno perso la vita. Ali al-Nashmi, professore di relazioni internazionali all’Università Mustansiriyah di Baghdad, aveva descritto l’esito del voto con queste parole: “E’ come nel 2018. Non succederà nulla. Si profilano gli stessi leaders, le stesse liste, gli stessi cronoprogrammi… tutte le speranze, tutti i sogni del popolo iracheno sono svaniti nel vento”.

A partire dall’ottobre del 2019 decine di migliaia di iracheni hanno manifestato contro gli alti papaveri della politica e contro la corruzione chiedendo a gran voce un voto anticipato. Il primo ministro Mustafa al-Khadimi è stato nominato in maggio e ha immediatamente chiesto alla Alta Commissione Elettorale Indipendente (in sigla inglese IHEC) di “prendere tutte le misure necessarie” per chiamare i suoi connazionali alle urne. In novembre il presidente iracheno Barham Salih ha firmato la legge che istituisce circoscrizioni più piccole. Proprio nel giorno della nuova mattanza nella capitale il consiglio dei ministri però aveva rinviato la consultazione elettorale da giugno al 10 ottobre per estendere il periodo di registrazione delle alleanze politiche, come aveva chiesto la Commissione Elettorale Indipendente.

 

 

 

 

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