La guerra nello sguardo di un bambino
Nel raccontare i bombardamenti del 25 settembre 1943, Ugo Capelletti che nel suo 'Firenze in guerra' (edizioni del Palazzo, 1984) ha consegnato una cronaca attenta e documentata, soprattutto con la storia delle persone nei durissimi anni dal 1940 al 1945, concludeva amaramente che la follia degli uomini non ha limiti e che i bombardamenti continueranno a ripetersi. Se ieri più di duecento persone, nonostante la pioggia a sprazzi, si sono ritrovate alla stazione di Campo di Marte, per un corteo in tre tappe in memoria dei bombardamenti del '43 ad opera degli Alleati, è perché sono convinte del contrario, “perché – è stato detto - coltiviamo il coraggio di sperare e di lavorare perché questo non accada”. Il coraggio di sperare è ricordare insieme e rieducarsi alla pace, uscire da quel senso di irrelevanza che rende anonimi gli altri. Tanto spesso le agende riportano i numeri degli altri, ma non i loro indirizzi. Per certi versi capita di pensare di non sapere dove si vive, ma “se siamo qui è perché le 218 vittime dei bombardamenti non vogliono essere per noi anonime, perché siamo che dietro ciascuna di loro c'è un nome e un cognome, c'è il dono prezioso e unico di vivere. E' qualcosa che chi è sopravvissuto sa bene intendere”. Tra la folla c'erano diversi testimoni, come Alfredo Poggiali, che ha raccontato in versi quella la tragedia: “I fiorentini non si rendevano conto del pericolo”. Ma poi “l'agonia dei sepolti vivi/ polvere e fiamme rendevano vano ogni soccorso./ I vigili del fuoco facevano l'impossibile;/ la Croce rossa faceva altrettanto/ i vigili urbani cercavano di cantrollare il caos”. “La città stava udendo una sinfonia/ di boati, mai sentiti dalla popolazione.../da Castello fino a Campo di Marte'.
Dunque 70 anni dal 25 settembre 1943, quando i bombardamenti degli Alleati su Firenze causarono 215 morti (218, contando quelli che si sono spenti a causa delle ferite nei giorni successivi) da piazza della Libertà alla zona della stazione di Campo di Marte. In occasione dell'anniversario la Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con il Quartiere 2 del Comune di Firenze, ha dunque ricordato quest'evento nel giorno di giovedì 10 ottobre 2013, attraverso una marcia in più tappe.
E' stata scelta la data del 10 ottobre perché il 25 settembre, in concomitanza con i Mondiali di ciclismo, non sarebbe stato possibile agevolare la viabilità e i movimenti per la manifestazione che oltre al coinvolgimento delle Istituzioni e delle comunità cittadine, ha visto la partecipazione dei Comuni di Pontassieve, Fiesole, e Rufina, che furono colpiti dai bombardamenti nei giorni precedenti e successivi la tragedia di Firenze.
Per l'occasione Trenitalia ha messo a disposizione una carrozza su un treno che ha portato le delegazioni dei Comuni e delle associazioni territoriali di Fiesole e della Val di Sieve nella stazione di Campo di Marte dove sono state accolte dai promotori della marcia. Supporto dalla Unicoop di Firenze, con quella di Pontassieve, e dalle Commissioni Pace del Comune di Firenze e della Provincia, e partecipazione della Comunità ebraica, della parrocchia del Sacro Cuore e di diverse realtà associative (l'Azione cattolica, in particolare, e l'Anpi).
Al corteo, in tre tappe, hanno preso parte la Regione Toscana, con il Presidente Enrico Rossi; la Provincia di Firenze con il Presidente dell'Assemblea di Palazzo Medici Riccardi Piero Giunti e i consiglieri Stefano Prosperi e Stefano Fusi; il Comune di Firenze (il consigliere Massimo Fratini), le delegazioni dei Comuni di Pontassieve (Stefano Galli), Fiesole (Maria Luisa Moretti) e Rufina (il sindaco Mauro Pinzani); l'Istituto storico della Resistenza, il Cardinale Silvano Piovanelli; il Prof. Simone Neri Serneri, dell'Università di Siena e Direttore dell'Istituto storico della Resistenza.
Nella tappa finale, dopo gli interventi di Sara Cividalli (Comunità ebraica), di Paolo Carganico, testimone dei bombardamenti del '43, e di Vittorio Ianari (Comunità di Sant'Egidio) è stata inaugurata una nuova targa per ricordare il 70 esimo anniversario che recita: “A 70 anni dai bombardamenti del 25 settembre 1943 Firenze ricorda tutte le sue vittime, memoria che impegna a fare della pace mezzo ed esito di ogni proposito umano”. Sotto di essa una corona portata da un'anziana e da una signora immigrata e neofiorentina.
La targa è stata inaugurata da Sara Cividalli, Presidente della Comunità ebraica di Firenze. Presente don Stefano Ulivi, parroco del Sacro Cuore, la chiesa di via Capo di Mondo, dove si è svolta la seconda tappa, in cui hanno preso la parola il Presidente della Regione Enrico Rossi e il cardinale Silvano Piovanelli. L'allora parroco don Giuseppe Sardi, con il suo ospite Benvenuto Matteucci, futuro arcivescovo di Pisa, ebbe tanta parte nel rintracciare le vittime e portare sollievo alla popolazione.
“Quel che abbiamo vissuto – spiegano i promotori della marcia della memoria - ha l'ambizione di portare a un livello più alto e profondo, più disarmato, la vita e la memoria della nostra città e attaverso di essa partecipare a un contagio buono, come quello che abbiamo vissuto nei giorni scorsi, quando la guerra in Siria avrebbe potuto conoscere l'incremento cieco della violenza ed è invece stato scongiurato grazie al gesto proposto da Papa Francesco e condiviso da quanti hanno detto no, non è possibile lasciare il mondo a se stesso”.
Quella che segue è la testimonianza di Paolo Carganico, che oggi a 74 anni. Ne aveva 4 il 25 settembre 1943.
''Buonasera, mi chiamo Paolo Carganico e vi porto oggi il mio ricordo del 25 settembre del 1943, il ricordo di un bambino di 4 anni.
Di quella giornata, del 25 settembre 1943, l’unica cosa che proprio mi è rimasta addosso è l’odore delle macerie.
E' per me un ricordo talmente fastidioso che quando ho fatto dei lavori in casa e hanno buttato giù un muro io sono dovuto andare via, perché non potevo sopportare quell’odore.
Era un sabato quel 25 settembre.
Guardavo dalle finestre di casa mia, in piazza Cavour, l’esercitazione dei balilla.
Per me bambino era come vedere ragazzi più grandi che facevano la ricreazione.
Poi suonò l’allarme, era uno dei primi allarmi.
Ero piccolo, anche l’allarme non mi diceva nulla.
Vedevo movimento ma non avevamo la misura di quello che stava accadendo.
Si rimase alla finestra e quando arrivarono le bombe, mio fratello era in collo a mamma.
I rimasi lì.
E sono rimasto lì, attaccato a quell’inferriata, a quella balaustra in ferro battuto che c’è ancora.
Poi tutto il palazzo andò giù… e lì finì.
Mio padre era a lavorare, era vicedirettore alla Lancia di via La Farina. Corse verso casa quando sentì l’allarme e stava per entrare proprio quando la bomba cadde sul nostro palazzo.
Mio padre fu preso in pieno dall’onda d'urto che spalancò il grande portone di casa.
Lo trovarono sano e salvo, un po’ stordito, vicino alla vasca.
Io rimasi aggrappato all’inferriata finché non venne a prendermi un pompiere.
Mio padre, dicevo, lavorava in via La Farina, di fronte alla caserma dei pompieri e con mamma, quando si faceva la girata e si andava a trovare il babbo, andavamo anche dai pompieri, e c’era un pompiere che ci faceva giocare un pochino lì. Fu proprio lui che venne a riprendermi con la scala all'inferriata e mi portò giù.
Mandarono su, apposta, una faccia conosciuta per non spaventarmi più di quanto già non fossi.
E poi da lì è cominciato una specie di pellegrinaggio, un po’ da una parte un po’ dall’altra finché una cugina di mio padre ci ha preso con sé.
Ho vissuto a lungo vicino a Piazza del Duomo, in via Ricasoli. Sono cresciuto e ho lavorato, ho avuto la mia famiglia e ora guardo i miei nipoti crescere e vorrei che lavorassero per la pace.
Porto con me il segno di quel 25 settembre.
Quel giorno ho perso mia madre, un fratello, una zia e la nonna. Purtroppo non ho cose che li ricordano, come le foto. Anzi le cerco. In un certo senso oggi li ritrovo qui, insieme a tanti altri che non ho conosciuto ma che porto lo stesso con me. Grazie”.