Vicini all’Ucraina
Sono più di 1200 nella sola Firenze e circa 2200, complessivamente, nel territorio provinciale. Gli ucraini sono una presenza amica e storica nella città gigliata e seguono da qui, con apprensione, quanto sta accadendo nella madrepatria. Domenica la Comunità Greco-Cattolica Ucraina dell’Arcidiocesi di Firenze, che si compone di 250 persone, ha promosso una veglia di preghiera per la pace (in italiano e ucraino) presso la Chiesa dei Santi Simone e Giuda.
“Sono vicino con la preghiera all'Ucraina – ha detto nei giorni scorsi Papa Francesco – in particolare a quanti hanno perso la vita in questi giorni e alle loro famiglie”. Cappellano della Comunità greco-cattolica di Firenze è padre Volodymir Voloshyn, all'origine di questo momento di raccoglimento “perché le menti degli uomini illuminate dal Signore arrivino ad un dialogo e ad una soluzione pacifica e si eviti altra violenza”. In una nota diffusa prima della preghiera si riassumevano alcuni dati. Da novembre la situazione in Ucraina sta diventando sempre più critica e si moltiplicano i momenti di tensione. Gli scontri nel Paese tra il governo e i manifestanti hanno già provocato morti e feriti tra i civili, e la scomparsa di centinaia di persone. La repressione violenta ha registrato il suo picco il 22 gennaio, proprio nel giorno della festa dell’unità nazionale ucraina. La Chiesa Greco-Cattolica Ucraina ha espressamente condannato ogni spargimento di sangue ed ogni forma di violenza sostenendo il diritto alla protesta libera e pacifica. All'iniziativa hanno aderito, tra gli altri, la Caritas diocesana e la Comunità di Sant'Egidio. Nella città in cui La Pira invitò a considerare laicamente la preghiera come forze storica, un momento come quello di domenica ha una sua pregnanza che sveglia anche ad allargare lo sguardo, a cercare di sapere qualcosa di più di questo grande Paese e della sua storia.
Nel 2004 l’Associazione italiana di studi ucraini ha scelto Firenze e la facoltà di Lettere dell’Università degli studi di Firenze per commemorare il genocidio ucraino noto come “holodomor” (cioè genocidio per fame) e consumato agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso. Una scelta non casuale, accreditata anche dalla nutrita consistenza della presenza ucraina in Toscana. Simona Merlo con ‘All’ombra delle cupole d’oro’, edito da Guerini e associati, è andata alle radici della storia ucraina da Nicola II alle premesse dell’Holodomor, servendosi di una ricca e inedita documentazione, frutto di una preziosa ricerca d’archivio.
L’Ucraina è la culla del cristianesimo russo, che ha permeato la grammatica più profonda della sua civiltà e il suo legame con Mosca. Il nazionalismo ucraino, all’inizio del secolo scorso, era registrato in percentuali minime ed era impensabile per i figli di Kiev sentirsi al di fuori di un legame con la Russia. Se ai nostri occhi, oggi, tutto questo sembra un fatto lontano, è perché nel Novecento questa terra grande e di frontiera tra Ovest ed Est è stata percorsa in modo divisivo e con tendenze di lungo periodo, da tragedie monumentali: la crisi dello zarismo all’inizio del secolo; la persecuzione bolscevica in chiave anticristiana con il parallelo sfruttamento di risorse che impoverì il popolo “fratello” della Mosca leninista prima e stalinista dopo; la terribile carestia (chiamata “holodomor”), provocata dalla politica di annientamento dei contadini che resistevano alla collettivizzazione delle terre condotta da Stalin nel biennio 1932-33, e, per venire, un po’ pindaricamente a giorni più recenti, la tragedia atomica di Chernobyl e il pesante nodo di rapporti tra la Russia di Putin che ha rilanciato l’egemonia su un’Ucraina con una classe dirigente che non sembra essere stata all'altezza delle attese della sua gente.
Il prisma a cui Simona Merlo ha sottoposto luci e ombre è quello della storia ecclesiale, così profondamente intessuta con il vissuto della popolazione e dello Stato. E’ la storia di una crisi plurima e delle risposte che la chiesa si è data.
E’ la crisi provocata dalla concessione della libertà di culto da parte di Nicola II che pone la Chiesa in una posizione nuova rispetto alla società; è la crisi interna alla chiesa che si consuma in uno scontro pesante tra i fautori di una presenza adulta dei laici e i contrari appoggiati in gran parte dalle gerarchie ecclesiastiche; è poi la crisi provocata dal bolscevismo che prima proclama la libertà di culto ma poi incarna l’ateismo militante favorendo scismi che devono, nelle intenzioni dei capi comunisti (e qui la documentazione è particolarmente rilevante per coglierli con un giudizio più maturo e al di fuori di una vulgata che è stata egemonica e falsificante), portare all’implosione della fede.
Ma è proprio in questa dolorosissima e sanguinosa lacerazione che da tutta la chiesa scaturiscono energie di resistenza e promozione umana incredibili, che sfuggono nella loro portata agli stessi protagonisti di quella storia, talvolta collocati su opposte visioni nei riguardi del regime sovietico eppure testimoni di una ricerca commovente di libertà o di un modus vivendi che consenta di uscire dall’annullamento. Simona Merlo restituisce il profilo di figure come Ezemplijarski, di vescovi martiri, di figure come i padri Aleksandr Glagolev e Michail Edlinskij, e analizza soprattutto la vicenda di due comunità di Kiev, gettando nuova luce sulla storia di padre Spiridon e su padre Anatol Zurakovskij, che morì fucilato nel 1937.