In cosa crede chi non crede
Provare a dare un nome al desiderio di Dio. Ci prova don Dante Carolla con “Tra il Nulla e l’Infinito”
Con un’immagine efficace un teologo ha osservato che strutturalmente l’uomo, da quando nasce, è un essere in ascolto, aspetta cioè che venga qualcuno. Nella crescita e nei ritmi della vita sviluppa consuetudini particolari. Mons. Rossano diceva a questo riguardo che l’uomo è un “animale” rituale. La predicazione della Buona Notizia, il Vangelo, si innesta anche su dati originari della persona. Per credenti e non credenti c’è un’attesa, c’è una speranza, che in modi e tempi diversi dà moto alle proprie giornate. Un poeta che amava Firenze, Mandelstam, ripeteva che “se questa vita non avesse senso, non avrebbe senso parlare della vita”. Tanto parla di Dio. Le città con le loro chiese e il loro patrimonio storico-artistico decifrano questa attesa e quanto meno provano a darle un nome. Il Cardinale Giuseppe Betori ha insistito molto sulla catechesi attraverso l’arte. Mons. Dante Carolla, predicatore nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, direttore dell’Ufficio catechistico diocesano e direttore spirituale ausiliare del Seminario Maggiore, viene incontro a questa esigenza di dare un nome, di cogliere i messaggi e significati, e nel tempo ha provato a rispondere ad alcune di queste domande, per offrire discernimento in un mondo che vive di emozioni. “L'amore vero - scrive ne 'La tenerezza di Gesù' – non è certo principalmente un'esperienza di dolcezza e di gratificazione sensibile o emotiva. L'amore vero è la convergenza delle volontà fra due persone. 'Ti voglio bene', vuol dire 'voglio il tuo bene, il tuo vero bene'. Nel matrimonio, nelle famiglie, l'amore si realizza proprio nel dono di sé, nell'offerta della propria vita per l'altro e quante volte ciò non avviene certo necessariamente nella dolcezza di un'emozione sentimentale, ma spesso nel dono della volontà che riconosce il valore dell'offerta che vivne richiesta anche se non è sostenuta da dolcezza o sensibilità particolare”'.
Dopo le riflessioni sulla tenerezza di Gesù seguite a quelle sul vivere e il morire e di 'Solo l'amore conosce', proposte il primo dalla Cittadella e gli altri dalle Dehoniane, Carolla rende ora conto del confronto avuto con tante persone da lui conosciute nel suo ‘Tra il nulla e l’infinito. Il credo dei non credenti’, edito da Cantagalli. Il tutto viene filtrato attraverso dialoghi con autori che sono stati interpreti del non credere o del credere altrimenti, da Leopardi ad Hemingway. "L'esigenza di infinito è un'esperienza umana universale - chiosa Carolla - Non è certo monopolio esclusivo dei credenti". Il mistero si affaccia in tutti perché tutti siamo un mistero. Carolla se ne compiace: "Mi sembra una sorpresa strepitosa che ci dovrebbe fare sussultare gi gioi. E' la riprova che l'uomo, ongi uomo, è un miracolo, è epifania, manifestazione, dell'infinito". Diamogli la maiuscola e diventa Infinito. Insomma per Carolla "il Trascendente abita le nostre case, le nostre strade, le nostre relazioni, il nostro quotidiano, le nostre gioie, i nostri dolori, perfino la banalità"; con una conseguenza tangibile: ci "riscopriamo più vicini fra noi, più di quanto non crediamo". Non vi sono barriere, se non quelle "costruite dalla nostra superficialità. Se avessimo un po' di pazienza e di attenzione gli uni verso gli altri, ci accorgeremmo di quanto siamo profondamente convergenti come esseri umani". Tutti uguali, tutti in qualche modo abitati dall'Infinito.