L’avvento di un re bambino
Il tempo di Avvento fa poca notizia, sfugge alle categorie della cronaca, ma è il tempo che conduce a Betlemme - da domenica scorsa fino al 25 dicembre - quando ci si dovrebbe portare davanti alla grotta ad onorare un re bambino, un Dio che si affida nella forma e nella sostanza più debole dell'inizio del cammino umano. E' la regalità della debolezza, è l'unicità della vita. Assumendo questo punto di vista guardiamo allora ai bambini diversamente, riacquistiamo sensibilità, risentiamo tutto il dolore per quello che è accaduto al piccolo Loris, per quello che accade a tante latitudini ai bambini, in particolare – in questa stagione della storia – ai piccoli di Siria e Iraq e a tutti quelli i cui nomi vengono ignorati quando vengono sopraffatti dalle bombe “intelligenti”. Tutti quelli che usano le armi pensano di farlo con intelligenza, ma non è così. Papa Francesco ha parlato al Parlamento Europeo di “imperi invisibili”, di centri di potere, compresi quelli che producono armi, che disprezzano la debolezza e alimentano la cultura dello scarto.
Può un bambino essere scartato? Gesù che nasce a Betlemme dice di no ma al tempo stesso fa parte di una famiglia per la quale, dicono i Vangeli, non c'era posto. Farsi vicini a quelli per i quali non c'è posto è un modo per riassumere il tempo di Avvento, ovvero dell'attesa, della comprensione del senso della nascita di Gesù. E' tempo di vigilanza del cuore, di dissociazione dall'istintività, dalle abitudini, dalla spirale tanto banale e involutiva di girare intorno a se stessi senza capire nemmeno più per cosa si corre o si sta fermi. Ogni tempo liturgico, quale è quello di Avvento, riporta la domanda sul per che cosa si spende la vita. Ed è un'offerta che i cristiani fanno a se stessi e a quelli che cristiani non sono.
Le parole del re bambino, raccolte nei Vangeli, possono accompagnare le giornate per dare un altro spessore ai pensieri, aiutare a riprendersi la vita e a proteggere quella degli altri, mentre in tanti sembrano voler alimentare tensione sui poveri, riportare il nome degli altri nelle categorie del disprezzo, così come esse si sono spesso rivelate quando si parla di “clandestini” e di Rom, ma anche di decoro per ignorare la domanda che viene dai senza fissa dimora, dai “pellegrini” delle stazioni, non di rado i nostri pensionati vicini di casa. Meglio fermarsi un attimo, asciugare la rabbia delle parole mentre si intravede la grotta di Betlemme.
Camminando per Firenze si incontra il “protagonista” dell'Avvento, nel cuore della città. La sua statua è su una porta del Battistero. Giovanni Battista , nonostante i venti contrari, non rinunciò a quella giustizia che predicò e visseo con semplicità e chiarezza: dare del proprio a chi non ha nulla, non esigere più del dovuto, non maltrattare nessuno, convertirsi alla Parola di Dio, fare a metà con chi non ha nulla. La giustizia predicata da Giovanni ogni volta, nel tempo di Avvento, prepara il vero Natale.
Giovanni , si tramanda, “ha preparato la strada a Gesù”. In questo tempo di Avvento ci si può domandare cosa significhi “preparare la strada”: c'è sicuramente un tratto personale di ricerca, di levigazione alla luce del Vangelo, di respingere tratti un po' naturali che rendono estranei o violenti. Ma “preparare” è anche rendere partecipi i poveri della propria tavola. Papa Francesco rileva come “bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno”. E allora l'Avvento è portare alla mangiatoia di Betlemme uno sguardo più benevolo verso chi ci appare estraneo, anzi assumerne lo sguardo, il punto di vista. Può aiutare a questo scopo il Salmo 101, nel quale la voce che prega è quella di un povero. Egli parla di sé come uno “tra le rovine”, che si nutre di cenere, ma anche di una certezza in Dio che – si legge - “si volge alla preghiera del misero e non disprezza la sua supplica”. Questa voce, nella declinazione del salmo, racconta a Dio la sua condizione nei termini di “malattia, insonnia, senso della morte vicina, pianto”, fino a identificarsi con i prigionieri e i condannati a morte: “Il Signore si è affacciato dall'alto del suo santuario,/ dal cielo ha guardato la terra,/ per ascoltare il gemito del prigioniero,/ per liberare i condannati a morte”.
Sappiamo come la voce dei salmi sia, per i cristiani, anche quella di Gesù e Gesù ha identificato se stesso con i poveri, sia nella concretezza della sua esistenza iniziale – quando da bambino fu immigrato in Egitto insieme alla sua famiglia, per sfuggire alla persecuzione – sia nei tre anni della sua missione pubblica: “Il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9, 58). Se noi teniamo presente la biografia di Gesù, capiamo meglio cosa ci sia dietro l'espressione: “Ero forestiero e mi avete accolto”. L'Avvento è occasione di questa accoglienza. "Nella famiglia di Dio... non vi sono 'vite di scarto'. Tutti godono di un'eguale ed intangibile dignità" (Papa Francesco).