Aquile e colombe per la pace
La fine della dittatura 23 anni fa. La luce che ritornava dopo anni oscuri in cui Dio doveva essere escluso dalla vita delle persone. I barconi che raggiungevano l’Italia, meta sospirata di libertà e benessere. L’emigrazione, l’integrazione, e insieme, il ritorno, la ricostruzione. Quando a metà degli anni Novanta si sbarcava a Durazzo i bambini si buttavano nel mare per chiedere agli italiani di gettare loro delle monete. E un fiume di persone attendeva chi tornava a casa da ‘Lamerica’ tricolore. Non era raro trovare nelle strade dell’Albania paese insegne come questa: “La tua casa qui, come in Italia”.
Tirana, forse da ‘Te Ranat’, cioè “caduto” perché costruita in un’area formata da rocce portate a valle dalle acque, oppur da ‘Tirkan’, castello, come quello sul monte Dajti i cui resti risalgono a I secolo A.C. Oggi Tirana, capitale dell’Albania, è il grande cantiere di un Paese che si risolleva e un laboratorio di convivenza in cui cristiani e musulmani stanno insieme, nel quadro di un sistema democratico, lontano anni luce dall’oppresione tetra di Hoxha. Non a caso l’Albania è il primo Paese europeo visitato da Papa Francesco.
In questi giorni sui boulevard della capitale incontri l’aquila, simbolo dell’Albania, e la colomba della pace. “Volano” su piazza Skanderberg, sul verde curato di giardini e piazze e su case e palazzi rianimati da uno sguardo intraprendente. E’ una città viva che accoglie la carovana portata qui dalla Comunità di Sant’Egidio nello spirito di Assisi - la prima Preghiera per la Pace voluta da Giovanni Paolo II nel 1986 nella città di San Francesco – per tre giorni di confronto tra leader religiosi, delle culture e dei popoli, sulle domande e gli scenari del pianeta: le migrazioni, il Medio Oriente, l’Iraq e la Siria, la Libia e la Nigeria, lo sviluppo sostenibile.
Domenica l’inaugurazione dei lavori del meeting ‘La pace è sempre possibile’. E’ più di un sogno. E’ l’alternativa alla rassegnazione o al cinismo di Paesi e persone che credono, chiudendosi, di non essere raggiunti dalla storia. E’ il no alle abitudini, alla strage continua di intere famiglie nel Mediterrano e al bollettino quotidiano che è stato scosso dall’immagine del piccolo Aylan restituito dal mare a un letto di sabbia.
Da Tirana la Comunità di Sant’Egidio, accogliendo l’invito del Papa perché ogni parrocchia d’Europa accolga una famiglia di profughi, propone per i Paesi Europei l’adozione di una speciale “sponsorship”: si tratta, spiega il fondatore Andrea Riccardi, “di permettere a cittadini europei, ad associazioni, parrocchie e organizzazioni varie della società civile di farsi garanti dell’accoglienza: ospitare subito coloro che sono arrivati ma anche chiamare singoli e famiglie direttamente dalle zone a rischio evitando così i viaggi della morte nel Mediterraneo e lo sfruttamento da parte dei trafficanti”. Si tratta anche di aprire canali umanitari dall’Africa e dal Medio Oriente e concedere permessi per motivi umanitari. E accanto a questo asciugare le zone di conflitto, giungere a tregue, favorire il confronto tra chi combatte e, forse, non sa nemmeno più perché lo fa.
La vera emergenza non sono i profughi, che continuano a morire, ma le guerre che li fanno partire da Paesi come la Siria in cui vivere diventa sempre più difficile se non impossibile. Riccardi dallo scorso anno ha proposto di aprire un corridoio umanitario per la città siriana di Aleppo, rifornire i civili, trattare a oltranza e valutare l’invio di una forza di interposizione Onu.
A Tirana sono giunti il messaggio di Papa Francesco e il saluto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
“E’ violenza – scrive il Papa - anche alzare muri e barriere per bloccare chi cerca un luogo di pace. E’ violenza respingere indietro chi fugge da condizioni disumane nella speranza di un futuro migliore. E’ violenza scartare bambini e anziani dalla società e dalla stessa vita! E’ violenza allargare il fossato tra chi spreca il superfluo e chi manca del necessario!”.
“I muri e i fili spinati – scrive invece Mattarella - non fermeranno il divampare degli incendi. La soluzione è porsi alla guida dei processi mondiali. Per farlo, serve un’intelligente, lungimirante, coraggiosa azione politica. Che coniughi dialogo, sviluppo, integrazione e sicurezza per i cittadini”.
Sostenere che la pace è sempre possibile, sottolinea il Papa, “non è un’affermazione ingenua, ma esprime la nostra fede che nulla è impossibile a Dio. Certo, ci è chiesto un coinvolgimento sia personale che delle nostre comunità per il grande lavoro della pace”.