L'ora di Religione

Per chi cerca il voto umile. Evitare, si prega, la finzione

1. Per chi cerca il voto umile. Nelle interviste post-elettorali di diversi esponenti politici si nota l'utilizzo del termine "empatia". Fino a poco tempo fa, l'altro termine in voga era "resilienza", mutuata da studi sulla reazione dei bambini in situazioni di estrema difficoltà. Mi domando se non sia più semplice rispetto ad “empatia” parlare piuttosto di "compassione": oltre a essere la vera necessità di ogni tempo (si può declinare anche come: mettersi nei panni degli altri, soprattutto di chi non ce la fa; immedesimarsi; essere responsabili degli altri), è una parola che capiscono anche i sassi. Il voto umile ha bisogno di parole vere e semplici. Sicuramente ha bisogno di compassione. Evitare, si prega, la finzione. Si guadagna in credibilità.

2. Lettera di Moro a La Pira (21 maggio 1963) dopo una crisi di governo: "…. garantire una vigorosa ripresa dell'azione politica nostra"; riguardo alle "vicende personali, vi è nella vita politica una alternanza che è secondaria, se riusciamo a far progredire la situazione nella cordiale solidarietà e comprensione".

3. Nella biografia di Papa Francesco scritta da Austen Ivereigh, si trovano riflessioni che possono orientare non solo i politici. Dopo un periodo molto difficile e prima di essere nominato vescovo di Buenos Aires, Bergoglio aveva vissuto in isolamento, emarginato dai suoi confratelli gesuiti. Ripensando a quello che aveva vissuto, nel 2003, "a un politico che doveva dimettersi ed era terrorizzato da questa decisione, disse: "Manuel, devi vivere il tuo esilio. Io l'ho fatto. E dopo tornerai. E quando sarai tornato, sarai più misericordioso e più gentile, e sarai pronto a servire il tuo popolo con impegno ancora maggiore".

4. Il “popolo” è spesso una categoria “contenitore”: ognuno, nella genericità, vi mette di tutto. Ma un popolo non può escludere chi cerca cittadinanza per restare almeno al mondo, altrimenti rischia di cadere nell'etnicismo: "I migranti – scrive Alejandro Solalinde - sono un segno dei tempi. Sono vittime del neoliberismo selvaggio che ha divorato il loro paese d'origine e li ha costretti a lasciarlo. In questo senso, sono testimoni di un mondo in disfacimento, ne portano le ferite nella loro carne. Al contempo, però, i migranti sono pionieri del futuro. Anticipano, con la loro ostinata resistenza, la possibilità di una nuova società. Perché? Perché hanno il coraggio di rischiare. I migranti rischiano il tutto per tutto, in nome della vita, per se stessi e per le loro famiglie. Sono i più indifesi, gli eterni esclusi, eppure non si fermano, vanno avanti, camminano, confidando in una forza che, comunque la chiamiamo, solo Dio può infondere. Il loro viaggiare, invincibile e dolente, rammenta a noi, ormai accomodati e aggrappati alle nostre certezze, che siamo tutti pellegrini. Tutti siamo migranti".

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