Epiphanios, piccoli atti concreti per non perdersi
Molte cose preziose, talvolta capaci di suscitare grandi cambiamenti nella vita personale e in quella degli altri (di fatto viaggiano insieme), vengono derubricate nella corsa quotidiana a piccoli gesti senza importanza. Prendiamo ad esempio la capacità e la possibilità di essere grati, dunque di sentirsi debitori. E' stato notato come l'ingratitudine si riveli nella forma ambigua della “riconoscenza breve”, legata all'attimo e all'utilità, dunque una forma senza contenuto (Duccio Demetrio, 'Ingratitudine'). Ma allarghiamo lo sguardo, alla possibilità di fare il “piccolo” bene, accorgersi degli altri, noti e sconosciuti che pure ci passano accanto o stanno davanti alla nostra porta. L' “elemosina” dell'attenzione e quella partecipazione così importante alla redistribuzione della ricchezza che essa esprime quando è fatta “tradizionalmente”. Certo, non bisogna accontentarsi di diventare minimali ma “tali piccoli atti concreti di carità sono di grande valore agli occhi di Dio. Senza di loro la nostra religione rimane nel regno delle astrazioni”, potremmo dire il senso della vita in sé si disperde proprio nella concentrazione assoluta di sé.
Anba Epiphanios, il vescovo copto ucciso in Egitto nel monastero di San Macario il Grande, di cui era abate, aveva molto chiaro questo orientamento. Quest'uomo di preghiera e di dialogo, espressivo del “martirio della pazienza” in cui si radica la Chiesa copta ortodossa, ne ha parlato partecipando dal 2014 agli incontri di Sant'Egidio, prima ad Anversa, poi a Tirana, quindi ad Assisi e Munster. In questo spazio vorremmo proporre alcune sue considerazioni che anche in questo tempo estivo, cercando riposo dalle “ansie per questa vita”, aiutano a declinare la gamma infinita dell' “ama il prossimo tuo come te stesso”.
Ad Anversa Epiphanios aveva sottolineato come fosse chiaro che “il mio amico (il mio vicino) non è un membro della mia famiglia o qualcuno con il quale si condivide un legame di sangue, con cui si condivide la stessa dottrina o lo stesso credo; egli è una persona che condivide con me le ansie per questa vita. Anche se non condividiamo gli stessi valori, religione o ideologia; o anche se siamo considerati nemici in termini religiosi”.
Il modello è Gesù la cui amicizia “ha raggiunto tutti, specialmente gli umili e gli oppressi e quanti non godono di alcun rispetto o sono disprezzati della società che li circonda. Egli stese le sue braccia pure per aiutare tutti, giudei e stranieri, senza alcuna distinzione. Non c'è modo migliore di essere amici che il fermare l'inimicizia crescente nel mondo”. Un potente antidoto è la gentilezza che è innanzi tutto accorgersi dell'altro. Epiphanios raccontava a riguardo una storia della biografia del fondatore del monachesimo egiziano, Macario: “Mentre stava camminando con uno dei suoi discepoli, vide un sacerdote pagano che correva verso il suo tempio. Poi lo salutò dicendo: 'Pace a te uomo vigoroso!'. Con questo semplice saluto ha conquistato l'uomo che divenne uno dei suoi discepoli. San Macario ha commentato questo fatto con un detto: 'Una parola di gentilezza ha il potere di trasformare i malvagi in uomini giusti' (Apoftegmi Patrum, Macario 39)”.
Ad Assisi, due anni dopo, Epiphanios era tornato sul tema: “In primo luogo nutrire gli affamati, dare da bere agli assetati e aiutare i bisognosi sono comandamenti di Gesù Cristo. In secondo luogo, essi non sono solo comandamenti, ma la nostra salvezza eterna si fonda sulla loro applicazione; rischiamo di perderci nel caso in cui li trascuriamo. Tali piccoli atti concreti di carità sono di grande valore agli occhi di Dio. Senza di loro la nostra religione rimane nel regno delle astrazioni”. Ci si perde se si trascurano i poveri. Si possono trovare molti modi per non vederli fino a distinguerli in stranieri e nostrani, a colpevolizzarli e a renderli clandestini nella vita che corre.
Epiphanios rendeva chiaro l'enunciato mediante fatti che sono parabole. Conviene sentire la sua voce per qualche minuto:
“Nelle vite dei Padri del deserto si legge di un monaco chiamato Serapione che andò ad Alessandria e trovò lì al mercato un uomo nudo povero, e allora pensò, "Ha senso che io, che sono un monaco, sono vestito, mentre questo povero uomo rimane nudo? Certamente questi è Cristo che soffre al freddo”.
Immediatamente e in modo coraggioso si tolse le sue vesti e le diede al povero, e si sedette nudo con una Bibbia in mano. Quindi successe che un funzionario passò e vide il monaco nudo, e gli chiese "Abba Serapione, chi ti ha denudato?" Questi indicò la Bibbia e disse: "Essa mi ha spogliato." Il funzionario lo rivestì e si allontanò. In seguito Abba Serapione incontrò un uomo che era stato fermato perché accusato di un prestito non restituito. Siccome non aveva nulla da dargli, il monaco vendette la Bibbia e pagò il creditore. Infine trovò un altro uomo povero; gli diede la sua veste e tornò al monastero nudo. Qui un suo discepolo gli chiese: "Maestro, dove sono i tuoi indumenti?" Lui rispose: "Li ho mandati avanti a me in un luogo dove ci saranno utili." Poi gli chiese: "Dove è la Bibbia che usai per confortarci?" Egli rispose: "Figlio mio, la Bibbia mi diceva ogni giorno, vendi quello che hai e dallo ai poveri "( Detti dei Padri del deserto - Raccolta Sistematica arabo, VI, 6, 254).
Ricordo che dopo lo scoppio della rivoluzione egiziana il 25 gennaio 2011 molti prigionieri erano fuggiti dalle loro carceri, e centinaia di loro cercarono di rifugiarsi nel nostro convento di San Macario, dato che ci sono molte prigioni vicino a noi. Scalarono le mura del monastero, senza sapere che tipo di edificio fosse, ed avevano paura che li avremmo riconsegnati al governo.
Quando ci videro, e capirono che si trattava di un monastero, ci chiesero, "È questo il monastero di padre Giovanni?" (Padre Giovanni è uno degli anziani del nostro monastero che era responsabile per la foresteria), quindi si calmarono e ci dissero "padre Giovanni aveva l’abitudine di farci visita ogni anno nel carcere nel mese di agosto e di dare a ognuno di noi un cocomero; in Egitto è la stagione più calda ". A quel punto noi abbiamo dato loro cibo e acqua, e loro se ne andarono in pace . È stato un piccolo regalo dal monastero per mano di padre Giovanni ad alcune persone che sono rifiutate dalla società, ma è stato un dono a Gesù Cristo che ci ha ordinato di aiutare i bisognosi”.
I suoi interventi sono disponibili a questo link
http://archive.santegidio.org/pageID/16332/langID/it/orator/1229/Epiphanios.html