“Ponti di pace”, connessi a qualcosa di vero
Connessi ma anonimi; capaci di percorrere il mondo premendo un tasto, ma poveri di incontri reali, tanto da diventare frettolosi in presenza di qualcuno. Certe connessioni, poi, amplificano i monologhi fino ad esasperare sentimenti e giudizi. E' la strada malata delle fake news e di tutto ciò che è stato riassunto nell'espressione “odio social”, con una ricaduta tutt'altro che digitale, virtuale, ma pratica, in quello che è oggi la vita comune. Ma si può invertire la rotta. Papa Francesco, nel messaggio inviato al meeting internazionale di Sant'Egidio 'Ponti di pace', interpreta l'immagine dei ponti, che ha per molti versi un complemento nei portici di Bologna, città che ospita l'incontro, come “un invito a creare connessioni che portino a incontri reali, legami che uniscano, percorsi che aiutino a superare conflitti ed asprezze”. E' un invito a dare un volto umano alla globalizzazione che travolge; che – ha osservato Andrea Riccardi – non è stata finora quella che ci si aspettava nell'89, dopo il crollo dei muri, “quasi una provvidenza che tutto portava allo sviluppo e all'armonia”. Quando, come è accaduto sabato, si ripescano nel Mediterraneo i corpi senza vita di tre persone – almeno siano riconosciute come tali, come persone – ci si accorge che il mondo, unito digitalmente, è troppo diviso e poco umano. Quelle vittime – esse come le altre, che tali sono per i più diversi motivi e nei più differenti contesti - suscitano una reazione: “Non possiamo accettare mai la guerra, nemmeno quella combattuta a pezzi”, ha sottolineato l'arcivescovo Matteo Zuppi richiamando un'espressione di Bergoglio. L'orizzonte possibile di ciascuno per fermare questo conflitto è la città; è il luogo in cui si vive, lo spazio in cui ci si muove, da umanizzare proprio perché in qualche modo vive gli effetti del conflitto a pezzi. Si può ripartire, ad esempio, dagli anziani. “Il mondo – spiega Riccardi - ha perso l'acuta sensibilità dei nostri vecchi che hanno conosciuto l'orrore della guerra”, che sapevano e sanno come “in pochi passi si possa scivolare nel perfido tunnel del conflitto. Con il dialogo si ricuciono i frammenti del mondo”. Viene da domandarsi perché ci si accanisce tanto verso i poveri, come se la povertà fosse una loro colpa, ma non si protesta contro il prosperare delle armi che genera orfani, vedovi, padri e madri privati dei figli. Il grande imam di Al-Azhar Ahmad al-Tayyeb, protagonista tra l'altro a Firenze, Parigi e Roma , degli incontri 'Oriente e Occidente, dialoghi di civiltà' e che chiama Francesco “il mio caro fratello”, ha puntato il dito sulla “compravendita delle armi”, che è cieca e che è sorda, che non vuole ascoltare parole come quelle di Nour Essa, siriana rifugiata in Italia e il cui figlio, grazie all'accoglienza, ha ritrovato finalmente il sorriso: “La pace non potrà arrivare attraverso l'invio di missili, ma solo attraverso il dialogo. L'uso delle armi non è una soluzione. Prego perché tanti bambini siriani abbiano il diritto di vivere come gli altri bambini nel mondo”. Come fare qualcosa di personale di fronte a questi scenari? Monsignor Oscar Romero, proclamato santo, ha un suggerimento: “C'è un criterio per sapere se Dio sta vicino o lontano da noi: chiunque si preoccupi dell'affamato, del nudo, del povero, dello scomparso, del torturato, del prigioniero, di tutta questa carne che soffre, ha vicino Dio”.