I tempi nuovi
L'uomo è un essere in ascolto; fin da quando nasce, aspetta. Non si fa da sé, ma questa è invece una convinzione tipica dell'adulto occidentale, avvezzo all'idea del desiderio che diventa diritto e che alimenta la propria presunta autosufficienza. Dunque, questo tipo di essere umano dice di farsi da sé anche se è uno spiantato e non aspetta più nessuno. L'affermazione di massa è un'illusione digitale. Mi basta uno smartphone per essere qualcuno. Il cellulare bene attrezzato è diventato una sorta di nuova carta d'identità, declinata nell'anagrafe dei social.
L'affermazione che si concretizza, a conti fatti, è una prerogativa di poche concentrazioni di potere, quelle che hanno adottato, tra l'altro, un assunto: se faccio mercato sulla moltiplicazione dei desideri di ogni individuo ho una prospettiva illimitata di guadagno.
Per tenere a bada le persone bisogna moltiplicare le forme di sollecitazione all'acquisto, fino alle più estreme. Bisogna allora che ciò che viene considerato “male” sia sempre più relativizzato. E' questo l'insegnamento mondano che, ha rilevato il francescano Gianfranco Grieco in un confronto nel cenacolo fiorentino di Santa Croce, si fonda sul dire “abbiamo sempre fatto così” anche quando non è vero. E' una sorta di “precetto” che genera la malattia del possesso e, al tempo stesso, porta insoddisfazione a chi lo pratica, con una smania che si rivela nella fretta.
La pressione culturale media del nostro tempo tende ad alleggerire il male e a neutralizzarlo in nome dell'affermazione di sé . Ne sono inquinati i miliardi di rivoli dell'umanità.
Tutto ciò che, pure imperfetto, sveglia da questa illusione, apre gli occhi sul fatto che il male esiste e infastidisce l'orgoglio di sé, viene respinto, attaccato e deriso. A proposito della testimonianza cristiana Olivier Clement parlava del nuovo secolo come quello del “martirio della derisione”.
La Chiesa dà un nome al bene al male, ai frutti dell'albero della conoscenza, e questo provoca non di rado una rabbia sorda e cieca verso di essa.
Anche le polemiche che mirano a ferire Papa Francesco vanno in questa direzione. Francesco aiuta ad individuare il bene e il male e a rispondere personalmente. L'Evangelii Gaudium e la 'Gaudete et exsultate' descrivono scenari pastorali quotidiani affidati alla responsabilità di ciascuno: ad esempio quanto Francesco scrive dei malati psichici, gli “strani”, che spesso sono nostri compagni di lavoro.
Per chi crede, il rapporto con Dio apre gli occhi, anche a una mediazione che viene dalla Comunità e dalla Scrittura che si hanno per riferimento. In modo maturo e non respingente, si entra in dialogo con gli altri attraverso la testimonianza che si dà. Questo, nel profondo, può cambiare le cose, invertire la rotta a tendenze che sono, in definitiva, autodistruttive.
Chi avverte questa necessità, sia credente o meno, cerca di entrare in “dialogo” con gli altri, non attraverso l'esposizione di teorie ma nel portarsi al livello dell'altro, al cercare di capirlo. Ecco perché il dialogo vero è un po' inquieto e non è facile, non è miele, perché non è facile la Storia. Non è miele ma è sicuramente cortese. Non è esclusivista ma nemmeno rinunciatario, porta in sé una forte carica di gratuità e pazienza di ricostruzione e di comprensione. Chi dialoga esplora la vita, non si limita ad attraversarla. E comincia ad interessarsi con un altro sguardo a chi gli sta vicino. Solo così possiamo “preparare in noi stessi i tempi nuovi” (Etty Hillesum).