Le religioni, la Storia e le sfide del futuro
“Il tempo del tempo” schiacchiato sul presente, senza prospettive, è stato un po' messo in discussione dall'emergenza sanitaria, suscitando nei più prima una sensazione (e una riflessione) d'attesa ma anche reazioni rabbiose in chi non vuole vedere la realtà o mette in conto di poter salvare se stesso lasciando gli altri alla propria sorte.
C'è uno “scontro di civiltà”, per riprendere un'espressione di Samuel Huntington, che si declina nell'ordinario. In alcuni momenti il bene comune sembra affidato – ribaltando la sentenza di von Klausewitz – a chi intede la politica come la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Costoro puntano ad esautorare la parola e la pratica del “dialogo”, che però ha resistito. Ci si può domandare di nuovo: cos'è il dialogo? Vannino Chiti ha sempre cercato di praticarlo. Forse si deve partire dalle pagine finali del suo 'Le religioni e le sfide del futuro. Per un'etica condivisa fondata sul dialogo' (Guerini e Associati), quelle più autobiografiche, per comprendere questa lettura del dialogo fiorita nella ricerca di un nuovo umanesimo, tanto più utile se si pensa allo scenario pratico in cui viviamo: dialogare è prendere coscienza che solo a Pistoia, la città di Chiti, vivono oltre tremila albanesi (buona parte di formazione musulmana), più di 1500 rumeni (ortodossi, come anche russi e ucraini peraltro molto differenti dati i patriarcati di appartenenza), almeno seicento marocchini (musulmani come lo sono anche i pakistani, ma con un'impronta molto diversa), non pochi cinesi. Il dialogo si pone sulla linea di incontro di chi crede e di chi non crede, ma sa che c'è un destino comune.
Il punto di partenza, al di là delle convinzioni personali, è che le religioni sono nella storia, non al di fuori di essa. Per ricostruirne sommariamente la vicenda, Chiti segue un metodo che comprende descrizione dei contenuti delle fedi, loro espressioni storiche, le sfide del presente. Questi tre aspetti dialogano con il vissuto dell'autore e della Regione da cui proviene, dalla sua storia, su cui incide anche la vicinanza del cardinale Silvano Piovanelli, che aveva un'idea ben chiara di laicità, espressione che oggi si utilizza in modo quasi magico, come se in sé giustificasse se stessa. “Tutti dobbiamo irrobustirci con la cultura – osserva Chiti - Siamo collocati in un cambiamento d'epoca profondo, le tecnologie stanno cambiando profondamente tutto. C'è un vuoto in cui si inseriscono le paure. Intorno a noi sta crescendo l'antisemitismo”. La storia è scritta da tutti, credenti e non, “è un intrecciare” osserva il neo presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, che oggi si misura, in modo non casuale, con le emergenze sanitaria e ambientale.
Sui temi proposti da Chiti sono intervenuti in un confronto alcune personalità che il dialogo lo praticano nel vissuto. Le proponiamo come un contributo nella Settimana per l'unità dei cristiani, che da alcuni anni viene preceduta da un incontro con la Comunità Ebraica e conclusa da un confronto con quella Islamica.
Per il rabbino Gad Piperno le religioni orientano miliardi di persone e propongono un sistema di valori generalmente stabili nel tempo. Tutte sono chiamate a raccogliere sfide importanti: l'educazione, una società di mercato in cui si vale per quello che si ha, la corruzione degli strati popolari, la mercificazione del corpo della donna. E' fondamentale “avvicinarsi e parlare ai giovani, perché possano conoscere la loro religione e la devozione come rapporto personale con Dio”.
“Il mondo non siamo solo noi. Noi facciamo parte del mondo”, osserva l'imam Izzedin Elzir: “Possiamo andare oltre i limiti che abbiamo verificato nella nostra storia. Il libro di Chiti ci invita a utilizzare la terminologia giusta. Penso allo studio delle Crociate. Il mio professore in moschea le chiamava le 'Guerre dei Franchi'. Le religioni non portano violenza. In questo caso si trattava di non attribuire alla croce la violenza, ma agli uomini che hanno fatto la guerra”. Gli strumenti della fede “possiamo usarli bene o male. Quel che so è che la mia fede religiosa non deve fare crescere un muro. Bisogna anche dire che la storia non è solo guerra, non è solo cronaca nera. Il dialogo sincero non è facile, ma ci si può ascoltare per costruire un'etica condivisa”.
“Si vedono i problemi per spazzarli via, la velocità non fa pensare – rileva don Giovanni Momigli - Le sfide invece vanno affrontate attrezzandosi e trovando le le parole per non creare muri ma ponti. Il politicamente corretto non parla. Il dialogo è invece un cammino scomodo ma affascinante”.
E' quasi paradossale, chiosa Chiti, che una parte dell'Occidente europeo consideri la fede fuori dalla storia, ma un mondo migliore “ha bisogno dell'Occidente che riconosca il ruolo fondamentale delle religioni. Si pone il problema della rapporto tra scienza e controllo democratico finalizzato a rispettare la dignità di ogni persona, come priorità per una vita buona. Il dialogo vive se ha il senso della propria identità proprio perchè chi scende nel profondo scopre che la fede non è esclusivista. C'è bisogno di questa forma di dialogo perché la nuova etica va costruita insieme”.