Le radici del ragù
di Marco Nannetti
HO TROVATO molto accattivante l’inizio del libro ‘Breviario della buona cucina Bolognese’, scritto negli anni ’50. «Una secolare sapienza conviviale e un’assoluta eccellenza delle vivande sono le basi su cui poggia la rinomanza mondiale della cucina bolognese: rinomanza riconosciuta e celebrata ovunque senza contrasto». L’affermazione dell’autore, Gianni Paglia, la sento mia soprattutto in un periodo in cui sempre più si denota nei locali della nostra città una scelta non attenta delle materie prime, e ristoranti e osterie si trasformano in punti di ritrovo e di svago piuttosto che luoghi del buon mangiare e del buon bere. Nella scelta del locale la cucina passa in secondo piano mentre incide l’amicizia col ristoratore. Alla fine il consiglio dato sembra quello di un tifoso per un club di calcio, non è incentrato sui veri valori, anche se soggettivi, dei cibi. Eppure la cucina bolognese era basata esclusivamente sull’importanza degli ingredienti legati fortemente alle radici della terra, è una cucina antichissima e ricca di cultura territoriale che non ha subito nessuna trasformazione radicale dalle materie prime d’importazione, se non negli ultimi anni. Si possono eliminare tacchino, granoturco, pomodoro, spinaci, melanzane, caffè, cioccolata, tè, ma come puntualizza Paglia rimarrebbero cappone e polenta, frumento e sfoglia, ragù al prosciutto e tanti altri ingredienti che purtroppo ora vengono poco considerati. Ma così facendo si rischia di cancellare un po’ della nostra storia culinaria, una delle più affascinati e antiche del mondo. Prosit.