Prosit. I vini siciliani meritano il bis
di MARCO NANNETTI
È PROPRIO vero che la via di mezzo non esiste. La Sicilia è una regione meravigliosa dove l’agricoltura ha una valenza particolare: sarà per il sole, il terreno, l’acqua o per chissà cos’altro, ma i prodotti che nascono da questa terra hanno un sapore particolare. Ma nonostante anche l’uva dia il massimo, alla grande euforia nata alla fine degli anni Novanta, quando il vino Nero d’Avola era presente dalla Valle d’Aosta alla Sicilia in tutti i ristoranti ed enoteche, ora si è passati al rigetto quasi totale.
PROPORRE al cliente un vino siciliano è quasi come fargli un dispetto. Cosa può essere successo in così poco tempo? I vini sono di buona qualità e i produttori non si sono assolutamente fermati sugli allori, ma hanno investito nella ricerca analizzando tutte le varie zone vitivinicole. Così facendo ne hanno trovate di nuove come le pendici dell’Etna, che sono state ‘attaccate’ prima con titubanza poi, visti gli ottimi risultati, coltivate da quasi tutti i produttori. Lì hanno iniziato a moltiplicare la produzione di due vitigni poco conosciuti, il Nerello mascalese e il Nerello cappuccio, che danno origine a vini molto diversi da come siamo abituati a pensare debba essere un vino del Sud, cupo di colore, con grande struttura e alcol. Al contrario, questi vini sono scarichi di colore, non troppo alcolici e freschi nei profumi. Credo valga la pena di dare un’altra chance ai produttori siciliani. Prosit.