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di CiBo

Il barman meglio dello shaker

di MARCO NANNETTI

 

IN QUESTO momento di grande confusione generale, ci tengo a soffermarmi su una figura professionale che si vuole sminuire, cercando di non mettere nessuna barriera professionale nel momento dell’acquisizione della licenza, quella del barista, barman in inglese o bartender, in uno slang molto di tendenza. Attualmente impera la moda di aprire un bar con l’idea che sia un’attività facile da svolgere invece spesso comincia una via crucis tragica. La caffetteria non è facile da capire e da attuare così come non sono da sottovalutare gli aperitivi e i drinks. Il barman professionale, una delle più belle figure del panorama enogastronomico, deve possedere, oltre ad una buona capacità di socializzare, una cultura completa del panorama dei liquori, whiskey, cognac, calvados, vodka e gin e di conseguenza essere in grado di abbinarli a frutta e sciroppi. Determinante è la capacità di miscelare e shakerare, senza parlare delle nuove tecniche acrobatiche flair e freestyle. Nel miscelato il prodotto del momento è il gin, distillato di frumento ed orzo il cui liquido incolore viene messo a macerare con fiori, erbe, radici e spezie. E i nuovi bartender cercano le massime sfaccettature da questi “botanicals”, termine giovane per indicare i gin aromatizzati, ottenendo risultati emozionanti già nel classico gin&tonic. Tra l’altro il gin non è più prodotto esclusivamente in Inghilterra, Spagna e Olanda, dove è nato, ma anche in Italia. Prosit

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