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di CiBo

Se si mangia dal verduraio

di MARCO NANNETTI

BOLOGNA in quest’ultimo ventennio è stata caratterizzata da un vero e proprio boom del ‘food and beverage’ cioè di tutto quel settore che comprende le attività di ristorazione. Fino a metà degli anni ’90 le botteghe che durante il giorno effettuavano mescita di vino erano meno delle dita di una mano, adesso solo nel centro storico saranno almeno duecento. Ormai il pranzo è stato sostituito da un pasto fugace o dal brunch mentre la cena ha lasciato il posto ‘all’apericena’ dove si beve e si mangia qualcosa. Tutte le attività commerciali alimentari si sono sentite in diritto di cavalcare l’onda dando la possibilità di consumare all’interno del locale i propri prodotti: si può bere e mangiare in pescheria, dal macellaio, dal fornaio e pure dal verduraio, ma così facendo è andato in crisi un settore che era il nostro fiore all’occhiello, il ristorante.

SI DICE spesso che è esplosa la cultura del cibo a Bologna ma è chiaro che in una città di circa 350mila persone quando l’offerta diventa eccessiva è proprio il ‘tavolo’ a finire per zoppicare. Sì, l’affluenza turistica è molto aumentata, tuttavia sono convinto che questa euforia non porterà a risultati interessanti, anzi si assisterà ad un abbassamento del livello culturale e di qualità gastronomica, infatti l’Emilia-Romagna è una delle poche regioni che quest’anno non è cresciuta come riconoscimenti sulla guida ‘Rossa’. L’equazione commerciale: tante persone uguale poca voglia di ricerca della qualità si sta purtroppo radicando in città. Prosit.

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