Cari chef, basta panini e cibi di strada
di MARCO NANNETTI
E’ INUTILE, non riusciamo a godere almeno un attimo dei risultati raggiunti con grande sacrificio nel settore enogastronomico che adesso, nella follia più totale e nel culmine della fase di delirio di onnipotenza, passa il concetto che tutto sia permesso con il rischio di mandare tutto a catafascio. Grazie allo studio, all’impegno, al lavoro degli ultimi trent’anni siamo arrivati ad essere i più invidiati e copiati al mondo, eppure ora si vogliono riscrivere le regole che ci hanno permesso di giungere dove siamo pensando che, essendo i migliori, tutto sia concesso.
Mi riferisco al fatto che molti cuochi stellati, quelli che nel gergo calcistico si chiamano “top players”, amano uscire dalle cucine per atteggiarsi ad attori, presentatori, insomma showmen e che dopo la televisione, pur di non tornare a sacrificarsi sui fornelli (come comporterebbe il loro mestiere), cominciano a fare panini e a specializzarsi in cibi di strada trasformandosi in “street chef”.
Ma com’è possibile che chef di prim’ordine decidano di partecipare a concorsi mondiali per il migliore panino, conquistando le prime pagine dei giornali del settore perché diventa un vanto anche saper fare un panino, come diventa un grande successo mettersi a produrre cibi di strada?
Sono preparazioni che, facendo parte delle radici della nostra cultura, sicuramente hanno una propria identità e tradizione, ma nascono da lavorazioni minimal che non necessitano di grandi preparazioni e di particolari strutture logistiche. Il mio è un urlo che proviene dal cuore più che dalla gola ed è spinto dalla paura di compromettere tutto quello che di buono è stato fatto finora. Le basi fondamentali della nostra scuola di cucina, la marinatura, i brasati, la preparazione dei fondi di cottura, la cottura a bassa temperatura, le svariate tipologie di frittura rimarranno capisaldi indiscutibili o solo materie da studiare a scuola per poi fare tutt’altro? Prosit