Una resa. La blasonatissima Banca centrale elvetica ha fatto dietrofront e ha smantellato il fortino a difesa della parità fittizia tra franco ed euro fissata tre anni fa a 1,20: la decisione, del tutto inattesa, ammette molte letture al di là dal terremoto provocato sul mercato mondiale dei cambi e dal crollo delle aziende quotate alla Borsa di Zurigo, che è arrivata a perdere il 14% prima di chiudere a -8,7 per cento. Anzitutto la scelta viene legata in modo diretto al varo del quantative easing da parte della Banca centrale europea già nell’incontro del direttorio di giovedì prossimo: o ameno, così l’hanno letta tutti i mercati finanziari del vecchio continente che hanno chiuso ieri in forte rialzo (Zurigo esclusa). L’attesa manovra non convenzionale della Bce e il conseguente, ulteriore indebolimento dell’euro avrebbero imposto ai banchieri elvetici costosissimi interventi per costringere il franco a svalutarsi e seguire così l’andamento della moneta unica: nel solo mese di novembre aveva stampato 28 miliardi di franchi. Comprensibile dunque la decisione di non svenarsi più, di sganciare la propria valuta dall’euro e di tagliare di mezzo punto i tassi sui depositi, già negativi.

In secondo luogo il mito delle banche centrali sembra perdere appeal: con mercati ombra stimati in 75 mila miliardi di dollari, l’equivalente della ricchezza planetaria prodotta in un anno, le battaglie contro la speculazione finanziaria diventano via via più ardue. Già nel novembre scorso, con il referendum svizzero sull’oro, alcuni fra gli hedge fund più aggressivi avevano scommesso sulla rivalutazione del franco violando una vecchia massima: mai contro una banca centrale. Oggi loro escono vincitori e più ricchi, favoriti anche dai massici acquisti di franchi collegati alla debolezza dell’economia europea e ai contraccolpi della crisi con la Russia.

La terza considerazione introduce gli squilibri impliciti nelle cosiddette guerre delle valute, ingaggiate dalle banche centrali con l’obiettivo dichiarato di sostenere la competitività e le esportazioni delle aziende nazionali: “Una misura eccezionale e temporanea che ha protetto l’economia svizzera da seri danni” si difende e si consola la Snb, che solo tre giorni fa dichiarava per bocca del suo vicepresidente che il tetto franco-euro sarebbe rimasto strategico nella politica monetaria della banca centrale. Ma il sogno del franco debole è finito.

Infine la tempistica, la comunicazione dello sgancio è avvenuta senza preavviso, a mercati aperti: in pochi minuti la valuta elvetica si è apprezzata, da 1,20 a 0,84 contro l’euro, lo Smi è crollato e le banche sono precipitate. Qualcuno stima pesanti contraccolpi come 5 miliardi in meno di export Swiss made o una flessione dello 0,7% del Pil. E teme qualche crac tra le società incapaci di reggere una rivalutazione tanto improvvisa e consistente