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Alzheimer, ricerche per fermare il ladro della memoria

L'arco dell'esistenza umana si allarga sempre di più grazie ai progressi della medicina. In Giappone, la nazione più longeva al mondo, si stima che una bambina su due, alla nascita, abbia una speranza di campare tranquillamente fino a cent'anni. L'Italia fa la sua bella figura nella classifica dei centenari, ma la generazione del baby boom deve guardarsi da un nemico insidioso, il deterioramento mentale, l'Alzheimer, tanto più che al momento mancano cure risolutive per questo inconveniente.

Sappiamo che i sani stili di vita premiano chi mantiene in forma muscoli e cervello, ma a volte la corteccia perde smalto senza una causa apparente e non c'è verso di rimediare. L'oncologia ha sconfitto molti tipi di tumore, altrettanto bene si può dire dell' emodinamica per le cardiopatie e della terapia genica, nella cura delle malattie ereditarie. Ora tocca alle neuroscienze fare un balzo in avanti. In particolare guardiamo con trepidazione alla ricerca sull'Alzheimer, il ladro della memoria che rende irriconoscibili anche le persone più care.

I risultati ottenuti negli ultimi tre anni dai ricercatori della rete Airalzh, Associazione Italiana Ricerca Alzheimer (onlus presieduta da Alessandra Mocali, Università di Firenze) sono stati presentati in una conferenza presso il Ministero della Salute. In Italia più di un milione di persone ha problemi di deterioramento mentale, in particolare con la demenza di Alzheimer. Una bella scocciatura, che colpisce circa il 5% delle persone con più di 65 anni: con l'aumento dell'aspettativa di vita, si calcola che nel corso dei prossimi 30 anni i casi potranno triplicare.

Un bando indipendente del valore di 300 mila euro è stato stanziato da Airalzh Onlus grazie a donazioni private per progetti d'eccellenza di giovani ricercatori. Oltre a 7 borse di studio sostenute dalla Coop che, unite alle 75 precedenti, generano un valore complessivo di circa 2 milioni di euro erogati in quattro anni. Quali saranno i prossimi traguardi? Da una parte si fanno strada ricerche di base per individuare i meccanismi patogenetici del disturbo, dall'altra parte sono stati avviati studi clinici per individuare fattori di rischio e strumenti per la diagnosi precoce.

Alessandro Malpelo

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